lunedì 18 maggio 2009

Una nuova stagione


Nel centrodestra è cominciata una nuova fase o, se preferite, una nuova stagione. Sarà caratterizzata da una maggiore competizione tra Popolo della Libertà e Lega Nord, quindi (ed inevitabilmente) da una maggiore conflittualità interna alla coalizione. Questo non significa necessariamente che il centrosinistra debba aspettarsi regali dallo schieramento antagonista (per intenderci, come il ribaltone di fine 1994, fermo restando che in politica tutto è possibile), ma semplicemente che il nuovo rassemblement liberalconservatore guidato da Berlusconi ed il partito di Bossi non mancheranno di andare a caccia di voti nello stesso territorio. Fino a qualche settimana fa la coalizione di governo si reggeva su d’un tacito patto: la Lega avrebbe puntato sul federalismo e con tale argomento avrebbe cercato di raccogliere il massimo dei consensi al Nord; mentre Forza Italia (da poco tempo confluita con An nel Pdl) avrebbe giocato la carta del liberismo e dell’antistatalismo (meno tasse e più libertà d’impresa, essenzialmente), lasciando alla destra sociale (An, appunto, l’altra costola del neonato partito) come cavalli di battaglia il presidenzialismo e la tutela ad oltranza dell’unità nazionale (tematiche che fanno particolarmente presa al Sud). Ebbene, questo schema è saltato, è stato rimesso tutto in discussione, d’altra parte nessun patto può valere per sempre. Cos’è accaduto? Vi invitiamo a rileggervi – se avete conservato la copia – l’articolo che pubblicammo all’indomani delle ultime elezioni politiche. In quella circostanza, commentando i dati elettorali, scrivemmo che il successo della Lega nei quartieri popolari ed operai delle grandi città settentrionali era da attribuire principalmente alla linea adottata da Bossi in materia d’immigrazione. Aggiungemmo che a milioni di elettori che avevano votato Lega non stava affatto a cuore il federalismo (semmai lo temevano, considerandolo un attacco al welfare), ma l’ordine pubblico, sempre più minacciato dalle ondate migratorie provenienti dal Sud del mondo e dall’Est Europa. Dopo un anno l’hanno capito anche i dirigenti leghisti che, non a caso, in queste elezioni europee ed amministrative presentano liste di candidati anche in Abruzzo, provando a sfondare nel Meridione, dove il problema dell’immigrazione non è meno sentito che a Lecco e Como. L’ha capito anche Berlusconi, il cui governo nelle ultime settimane si è inimicato l’O.n.u. e la Conferenza episcopale italiana respingendo navi di immigrati che si avvicinavano alle nostre coste. Sull’immigrazione oggi Pdl e Lega gareggiano a chi fa la faccia più feroce. Entrambi i partiti hanno fatto due conti ed hanno constatato che il problema in questione può spostare qualche milione di voti da una parte all’altra della coalizione. Perché, si sono chiesti nel Pdl, regalare a Bossi tutti questi consensi, quando invece potremmo prenderli noi? Perché assicurargli questa rendita di posizione, specie ora che l’alleato nordista “sconfina” e cerca di mettere radici anche a Pescara?
A sinistra denunciano «la deriva xenofoba» dell’attuale maggioranza parlamentare, in Parlamento il governo è stato accusato di voler «un Paese fascista e razzista». Al di là delle polemiche, anche aspre, è bene che si tenga presente un principio elementare: in periodi di grave crisi economica e sociale, di disagio diffuso e di aspettative inquietanti, se le forze moderate si mostrano troppo timide ad aggredire i problemi, i voti di protesta si riversano sui movimenti politici estremisti ed incontrollabili. Tanto per essere chiari, c’è voluto uno come Sarkozy per togliere voti a Le Pen. Ed è meglio trattare con un conservatore dal pugno duro che con i fanatici nazionalisti.
Mauro Ammirati