Le grandi operazioni politiche talvolta avvengono anche attraverso forzature, intendendo con questo termine risoluzioni prese a tavolino dai leaders ed imposte, quindi, dall’alto ad una realtà in parte recalcitrante. Sono nati così, per esempio, il Pd ed il Pdl. Ricordate l’ormai storico «discorso del predellino»? Berlusconi annunciò davanti a migliaia di persone a Piazza San Babila, a Milano (per di più, uno dei luoghi simbolo dell’estrema destra italiana negli anni ’70), senza neppure avvertire o consultare prima i suoi alleati (manco una telefonata, un fax…), la fondazione del partito unico del centrodestra, aggiungendo che non avrebbe nemmeno provato a convincere i leaders degli altri partiti della sua coalizione ad aderirvi. Cioè, se ci state ci state, se no il partito unico me lo faccio da solo e peggio per voi. In seguito, An ed altre forze politiche minori del centrodestra decisero di partecipare alla costruzione del nuovo partito, concordando con Forza Italia un percorso a tappe, così che gli alleati di Berlusconi poterono dire che alla gestazione ed alla nascita del Pdl essi avevano partecipato con pari dignità e con estrema convinzione. Cioè nessuno aveva “subito” il partito unico, nessuno l’aveva accettato obtorto collo. Il che non era del tutto vero. Berlusconi, infatti, aveva messo An e le altre componenti della coalizione con le spalle al muro – , questo è un fatto, altro che storie! -, deciso ad andare avanti per la sua strada ad ogni costo. Chi fosse rimasto fuori dal nuovo soggetto politico, avrebbe rischiato di restare fuori anche dal Parlamento e di incamminarsi malinconicamente sul viale del tramonto. Il Pdl, dunque, in parte, fu una forzatura, una di quelle sferzate che a volte in politica si rendono necessarie, checché se ne dica. Identico discorso può essere fatto per il Pd, sull’altro versante. L’operazione fu definita da molti osservatori ed opinionisti una «fusione fredda» o «a freddo». Da intendersi come un’operazione studiata lucidamente e, appunto, freddamente dalla leadership della Margherita e da quella dei Ds. Così, ex comunisti ed ex democristiani diedero vita ad un partito che rappresentasse la sintesi di due scuole di pensiero che in Italia e nel mondo si sono combattute, anche militarmente, per tutto il XX secolo. Considerando, dunque, il “peccato originale” del Pdl e del Pd non deve meravigliare che l’uno e l’altro siano oggi alle prese con i medesimi problemi.
In ambedue i partiti un’anima cattolica convive con una laicista. Se inizialmente lo scontro era più evidente a sinistra, ora comincia a manifestarsi anche a destra. Nessuno – almeno così sembra – mette in discussione la legge sul divorzio, ma sulle altre questioni etiche, che Benedetto XVI ha definito «non negoziabili», come aborto, eutanasia, testamento biologico, fecondazione eterologa e parificazione tra coppie di fatto e famiglie, la contrapposizione è trasversale agli schieramenti, è “nei” partiti e non “tra” essi. A sinistra divide l’atteggiamento da tenere nei riguardi del governo Berlusconi e dello scomodo alleato Italia dei Valori. A destra a dividere è la questione immigrazione e “l’appiattimento”, secondo una parte del Pdl, alla Lega. Per farla breve: Pdl e Pd sono nati troppo in fretta? Anche stavolta è stato commesso l’errore di confondere i desideri con la realtà e non si è tenuto sufficientemente conto della storia, dei sentimenti e della volontà della base. A nostro parere, molto più semplicemente è avvenuto questo: la cosiddetta transizione italiana dura ormai da 17 anni, sembra infinita, mancano partiti radicati, strutturati e, soprattutto, capaci di raccogliere la fiducia dei cittadini. Si è cercato di riempire il vuoto lasciato dalla Dc e dal P.c.i. con due nuovi contenitori, che insieme sommano circa il 70% dei consensi. Non si può affatto dire che l’operazione sia fallita – è ancora troppo presto -, ma è arrivato il momento di mettere qualcosa di concreto in quei contenitori. Mancano progetti, idee, strategie d’ampio respiro, obiettivi di lungo periodo, la capacità di guardare lontano. Se a tutto ciò viene anteposta l’immagine del leader ed una vuota propaganda, allora la transizione italiana diventerà il nostro buco nero.
Mauro Ammirati
In ambedue i partiti un’anima cattolica convive con una laicista. Se inizialmente lo scontro era più evidente a sinistra, ora comincia a manifestarsi anche a destra. Nessuno – almeno così sembra – mette in discussione la legge sul divorzio, ma sulle altre questioni etiche, che Benedetto XVI ha definito «non negoziabili», come aborto, eutanasia, testamento biologico, fecondazione eterologa e parificazione tra coppie di fatto e famiglie, la contrapposizione è trasversale agli schieramenti, è “nei” partiti e non “tra” essi. A sinistra divide l’atteggiamento da tenere nei riguardi del governo Berlusconi e dello scomodo alleato Italia dei Valori. A destra a dividere è la questione immigrazione e “l’appiattimento”, secondo una parte del Pdl, alla Lega. Per farla breve: Pdl e Pd sono nati troppo in fretta? Anche stavolta è stato commesso l’errore di confondere i desideri con la realtà e non si è tenuto sufficientemente conto della storia, dei sentimenti e della volontà della base. A nostro parere, molto più semplicemente è avvenuto questo: la cosiddetta transizione italiana dura ormai da 17 anni, sembra infinita, mancano partiti radicati, strutturati e, soprattutto, capaci di raccogliere la fiducia dei cittadini. Si è cercato di riempire il vuoto lasciato dalla Dc e dal P.c.i. con due nuovi contenitori, che insieme sommano circa il 70% dei consensi. Non si può affatto dire che l’operazione sia fallita – è ancora troppo presto -, ma è arrivato il momento di mettere qualcosa di concreto in quei contenitori. Mancano progetti, idee, strategie d’ampio respiro, obiettivi di lungo periodo, la capacità di guardare lontano. Se a tutto ciò viene anteposta l’immagine del leader ed una vuota propaganda, allora la transizione italiana diventerà il nostro buco nero.
Mauro Ammirati