Sul campo di calcio li abbiamo battuti ancora una volta. Nel
football, ormai è chiaro, siamo più bravi noi. Italia e Germania, due scuole
calcistiche diverse, direi agli antipodi. Noi che giochiamo palla a terra,
curiamo di più la tecnica, sappiamo, come si dice, «saltare l’uomo» e mantenere
il possesso della sfera di cuoio negli spazi stretti. Siamo latini, ma molto
più abili nella tattica di spagnoli (il 4-0 con cui si è conclusa la finale
dell’Europeo è da attribuire semplicemente al divario qualitativo delle due
squadre e, comunque, quanto a tecnica gli spagnoli sono più latini di noi),
francesi, portoghesi, argentini, per non parlare dei brasiliani, che spesso
vanno allo sbaraglio. I tedeschi confidano nella loro prestanza e nel loro
temperamento, schierano quattro “armadi” in difesa, centrocampisti laterali
veloci che buttano palloni alti nell’area avversaria, dove due colossi mettono
in mostra la loro arma migliore, talvolta l’unica, che è il colpo di testa.
Detto tra noi, non ricordo un solo tedesco che avesse piedi buoni, eccetto
Franz Beckenbauer, lui sì, aveva il tocco delicato e giocava di fino, ma era
un’eccezione. Per intenderci, un Pirlo o un Cassano teutonico, un calciatori
tedesco che nasconda la palla all’avversario, difficilmente lo vedrete. Scuole
diverse, dicevamo, tradizioni calcistiche che hanno molto poco, forse nulla, in
comune. Per la semplice ragione che sono i due popoli ad avere poco, forse
nulla, in comune. Ciononostante, siamo due tra i Paesi fondatori della Ceca,
che poi divenne Cee ed oggi si chiama Unione europea. Ma solo un italiano come
Alcide De Gasperi, che parlava tedesco ed era nato e cresciuto nel Trentino
austriaco, poteva intendersi con Konrad Adenauer ed evitare che la gestazione
d’una nuova Europa fosse più travagliata. C’era tanta diffidenza allora come ce
n’è tanta oggi, tra noi e loro. Ed è proprio questa, la diffidenza, a
complicare il rapporto tra la Germania e l’Italia e ad originare molto spesso
incomprensioni tra esse. Invero, quando c’è di mezzo il denaro, i tedeschi sono
diffidenti con tutti. Per ragioni culturali, sicuramente, ma soprattutto per
ragioni storiche. Mi riferisco a vicende che ci hanno fatto studiare a scuola,
ma sulle quali, forse, non abbiamo riflettuto abbastanza. Il cancelliere Merkel
difende l’euro così com’è, oppone un deciso “nein” a qualsiasi modifica dello
statuto della Bce ed esige che ogni Paese dell’unione monetaria pratichi il
massimo rigore nei conti pubblici. Perché? Perché da certe esperienze sono
rimasti marchiati a fuoco. Nella Repubblica di Weimar, nell’ottobre del 1923,
il valore del dollaro salì a 25 miliardi (dico: miliardi) di marchi. I tedeschi
andavano a fare spesa con carriole piene di banconote ridotte a carta straccia.
La situazione economica precipitò al punto che un pittore austriaco senza arte
né parte, in pochi anni, diventò padrone
assoluto del Paese. Da allora, i tedeschi hanno – comprensibilmente – la fobia
del deficit pubblico e della svalutazione monetaria, non è un caso che uno dei
capisaldi della Repubblica Federale di Germania è la valuta forte, garantita
dall’autonomia dal potere politico della banca d’emissione. Quindi, della
moneta unica europea e di legare il proprio destino a quello di popoli
spendaccioni come il nostro i tedeschi avrebbero fatto volentieri a meno.
Accettarono, obtorto collo, di
aderire all’euro unicamente perché questo era il prezzo da pagare alla
riunificazione con l’ex Germania comunista. La notte tra il 9 ed il 10 novembre
1989, come si sa, cambia la storia del mondo. Crolla il Muro di Berlino, in
tutta Europa, a Parigi soprattutto, rivedono vecchi fantasmi. Una Germania
economicamente potente e riunificata incute troppa paura. Andreotti dichiara: «Amo
così tanto la Germania che vorrei ce ne fossero sempre due». Mitterand è
pienamente d’accordo. C’è un solo modo per i tedeschi di rassicurare gli altri
Paesi europei ed è quello di rinunciare alla loro arma più potente: il marco.
In cambio la Germania ottiene che alla Bce venga affidato il solo compito di
prevenire l’inflazione, cioè che abbia le mani legate nell’emissione di
banconote. L’euro, così come lo conosciamo, dunque, è nato da due fobie: quella
tedesca per il deficit pubblico e quella francese per i tedeschi. Quando si
chiede alla Merkel di acconsentire che la Bce diventi una banca d’emissione
come la Fed americana o come qualsiasi altra banca centrale, si va a sbattere
contro un muro. Ai tedeschi si può chiedere tutto. Ma sulla moneta forte non
transigono.
Mauro Ammirati