martedì 3 luglio 2012

Il peso della storia


         Sul campo di calcio li abbiamo battuti ancora una volta. Nel football, ormai è chiaro, siamo più bravi noi. Italia e Germania, due scuole calcistiche diverse, direi agli antipodi. Noi che giochiamo palla a terra, curiamo di più la tecnica, sappiamo, come si dice, «saltare l’uomo» e mantenere il possesso della sfera di cuoio negli spazi stretti. Siamo latini, ma molto più abili nella tattica di spagnoli (il 4-0 con cui si è conclusa la finale dell’Europeo è da attribuire semplicemente al divario qualitativo delle due squadre e, comunque, quanto a tecnica gli spagnoli sono più latini di noi), francesi, portoghesi, argentini, per non parlare dei brasiliani, che spesso vanno allo sbaraglio. I tedeschi confidano nella loro prestanza e nel loro temperamento, schierano quattro “armadi” in difesa, centrocampisti laterali veloci che buttano palloni alti nell’area avversaria, dove due colossi mettono in mostra la loro arma migliore, talvolta l’unica, che è il colpo di testa. Detto tra noi, non ricordo un solo tedesco che avesse piedi buoni, eccetto Franz Beckenbauer, lui sì, aveva il tocco delicato e giocava di fino, ma era un’eccezione. Per intenderci, un Pirlo o un Cassano teutonico, un calciatori tedesco che nasconda la palla all’avversario, difficilmente lo vedrete. Scuole diverse, dicevamo, tradizioni calcistiche che hanno molto poco, forse nulla, in comune. Per la semplice ragione che sono i due popoli ad avere poco, forse nulla, in comune. Ciononostante, siamo due tra i Paesi fondatori della Ceca, che poi divenne Cee ed oggi si chiama Unione europea. Ma solo un italiano come Alcide De Gasperi, che parlava tedesco ed era nato e cresciuto nel Trentino austriaco, poteva intendersi con Konrad Adenauer ed evitare che la gestazione d’una nuova Europa fosse più travagliata. C’era tanta diffidenza allora come ce n’è tanta oggi, tra noi e loro. Ed è proprio questa, la diffidenza, a complicare il rapporto tra la Germania e l’Italia e ad originare molto spesso incomprensioni tra esse. Invero, quando c’è di mezzo il denaro, i tedeschi sono diffidenti con tutti. Per ragioni culturali, sicuramente, ma soprattutto per ragioni storiche. Mi riferisco a vicende che ci hanno fatto studiare a scuola, ma sulle quali, forse, non abbiamo riflettuto abbastanza. Il cancelliere Merkel difende l’euro così com’è, oppone un deciso “nein” a qualsiasi modifica dello statuto della Bce ed esige che ogni Paese dell’unione monetaria pratichi il massimo rigore nei conti pubblici. Perché? Perché da certe esperienze sono rimasti marchiati a fuoco. Nella Repubblica di Weimar, nell’ottobre del 1923, il valore del dollaro salì a 25 miliardi (dico: miliardi) di marchi. I tedeschi andavano a fare spesa con carriole piene di banconote ridotte a carta straccia. La situazione economica precipitò al punto che un pittore austriaco senza arte né parte, in pochi anni,  diventò padrone assoluto del Paese. Da allora, i tedeschi hanno – comprensibilmente – la fobia del deficit pubblico e della svalutazione monetaria, non è un caso che uno dei capisaldi della Repubblica Federale di Germania è la valuta forte, garantita dall’autonomia dal potere politico della banca d’emissione. Quindi, della moneta unica europea e di legare il proprio destino a quello di popoli spendaccioni come il nostro i tedeschi avrebbero fatto volentieri a meno. Accettarono, obtorto collo, di aderire all’euro unicamente perché questo era il prezzo da pagare alla riunificazione con l’ex Germania comunista. La notte tra il 9 ed il 10 novembre 1989, come si sa, cambia la storia del mondo. Crolla il Muro di Berlino, in tutta Europa, a Parigi soprattutto, rivedono vecchi fantasmi. Una Germania economicamente potente e riunificata incute troppa paura. Andreotti dichiara: «Amo così tanto la Germania che vorrei ce ne fossero sempre due». Mitterand è pienamente d’accordo. C’è un solo modo per i tedeschi di rassicurare gli altri Paesi europei ed è quello di rinunciare alla loro arma più potente: il marco. In cambio la Germania ottiene che alla Bce venga affidato il solo compito di prevenire l’inflazione, cioè che abbia le mani legate nell’emissione di banconote. L’euro, così come lo conosciamo, dunque, è nato da due fobie: quella tedesca per il deficit pubblico e quella francese per i tedeschi. Quando si chiede alla Merkel di acconsentire che la Bce diventi una banca d’emissione come la Fed americana o come qualsiasi altra banca centrale, si va a sbattere contro un muro. Ai tedeschi si può chiedere tutto. Ma sulla moneta forte non transigono.

         Mauro Ammirati