Come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere. Quanto è
avvenuto in occasione dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica -
deflagrazione del Pd e conferimento della carica, nuovamente, al Capo di Stato
uscente - ha spinto più d’un osservatore politico a proporre per l’Italia il
sistema presidenziale. La proposta è fondata su due argomenti: l’elezione
diretta del Presidente della Repubblica eviterebbe che un Paese venisse, di
fatto, lasciato allo sbando e che in Parlamento avesse luogo un’indecorosa
guerra per bande, com’è avvenuto con le votazioni sulle candidature di Franco
Marini e Romano Prodi. E questo è vero. Il secondo argomento è che dalla
presidenza di Oscar Luigi Scalfaro, il Capo di Stato è andato assumendo sempre
maggiori poteri, al punto che si può già considerare l’Italia una repubblica
presidenziale, tanto vale, quindi, che se ne prenda atto. E questo, invece, non
è vero. A scanso di equivoci, io sono presidenzialista e non può che farmi
piacere se tanta gente si converte alla nostra causa, ciò non toglie che
un’analisi sbagliata resti un’analisi sbagliata. È indubitabile che negli
ultimi venti anni il Capo dello Stato ha avuto un ruolo, non decisivo, ma
straordinariamente importante in determinate circostante, l’ultima in ordine di
tempo, la formazione del governo Monti. Va però precisato che, in realtà, in
tutte queste circostanze, il Presidente della Repubblica altro non ha fatto che
esercitare i poteri che gli vengono attribuiti dalla Costituzione. Dalla
situazione venuta a determinarsi con la separazione tra Lega Nord e
centrodestra, nel 1994 (e conseguente nascita del governo Dini), fino alle
dimissioni di Berlusconi nell’autunno 2011 (e conseguente nascita del governo
dei tecnici), passando per la caduta dei due governi presieduti da Romano
Prodi, il rappresentante della massima carica dello Stato si è sempre,
scrupolosamente (com’è suo dovere) attenuto alla Carta. Per essere chiari: non
sono aumentati i poteri del Presidente della Repubblica, semplicemente questi
poteri sono stati esercitati a discrezione dello stesso Presidente, senza che
la Legge fondamentale venisse violata. Non è un caso che si affermi che la
tendenza presidenzialista abbia cominciato a delinearsi con la presidenza
Scalfaro. Cioè, nel 1992, l’anno in cui scoppia Tangentopoli, l’evento che,
unendosi al crollo del comunismo, cancella in Italia un intero sistema
politico. Fin quando erano esistiti partiti strutturati, radicati, coesi e
disciplinati al loro interno, come Pci e Dc, la libertà di manovra del
Presidente della Repubblica era sempre stata assai modesta. In una repubblica
parlamentare, di regola, quando i partiti fanno bene il loro mestiere, il ruolo
del Capo dello Stato è marginale. La scomparsa dei due grandi partiti di massa,
oltre che di quello socialista, lascia un vuoto enorme. Le forze politiche di
nuova formazione (Lega, Forza Italia, Ppi, Alleanza nazionale, Pds...) si
mostrano incapaci di sostituire adeguatamente i partiti che hanno portato
l’Italia fuori dal dopoguerra e dal sottosviluppo, soprattutto non riescono a
costruire un nuovo sistema politico. Per farla breve, restano le vecchie
regole, cambiano gli attori, che però non hanno da dare al Paese leader come De
Gasperi, Nenni e Togliatti. Il Capo dello Stato, davanti a partiti ed alleanze
politiche che nascono e muoiono in pochi anni è costretto a svolgere un ruolo sempre
più politico, senza rinunciare a quello di garante delle regole. Per fare un
esempio pratico, sul finire del 2011, dopo le dimissioni di Berlusconi,
Napolitano poteva sciogliere il Parlamento o affidare l’incarico a Mario Monti.
Preferì, a sua discrezione – sottolineo: a sua discrezione, perché è tutto qui
il discorso - la seconda opzione. Fu una scelta eminentemente politica - come
lo sarebbe stata quella di sciogliere le camere - ma che non contrastava con la
lettera né con lo spirito della nostra Costituzione. Negli anni ’50, ’60 e ’70,
Pci e Dc non avrebbero mai messo un Capo di Stato nella condizione di dover fare
simili scelte. L’Italia non è diventata una repubblica presidenziale. La verità
è che trent’anni fa avevamo partiti degni di questo nome ed ora non più.
Mauro Ammirati