lunedì 6 giugno 2016

Tra passione e ragione

         Nonostante debba tenersi nel prossimo ottobre, il referendum con cui approvare o respingere la riforma costituzionale fatta dal governo Renzi ha acceso il dibattito politico sin da ora. Neanche i referendum su divorzio e aborto, in un Paese di tradizione cattolica come l’Italia, infiammarono il rapporto tra i partiti con cinque mesi d’anticipo rispetto al voto. È stato proprio il Capo di governo, ossia il fautore della riforma in questione, a “politicizzare” il referendum, assumendosi davanti a tutta la nazione l’impegno a dimettersi dalla carica in caso di vittoria del “no”. Una mossa che può sembrare azzardata ed imprudente, ma, come spiegavo nell’ultimo numero di questo periodico, assolutamente sensata se messa in relazione con le ambizioni di Matteo Renzi. Alzare la posta fino a giocarsi il tutto per tutto, infatti, era l’unica possibilità che egli avesse per fare di questo referendum un plebiscito e raccogliere quel consenso di cui necessita per accrescere il suo potere negoziale ai vertici dell’Ue. Il 40% ottenuto alle elezioni europee (percentuale da Dc dei tempi di De Gasperi), per quanto importante, rappresentava il consenso ottenuto dal partito, non solo dal leader, quindi una vittoria i cui meriti andavano ripartiti tra i tutti dirigenti del Pd; mentre a vincere o perdere il referendum di ottobre sarà solo Matteo Renzi, perché è stato proprio a lui a “rilanciare”, mettendo sul piatto addirittura la sua carriera politica. Dunque, se gli italiani ora discutono tanto d’un referendum che avrà luogo tra cinque mesi non significa affatto che siano diventati tutti appassionati di diritto costituzionale, il ruolo più ambito da loro – lo confesso, anche da me - sarà sempre quello di ct della nazionale di calcio, non quello di giudice della Consulta o di professore di diritto pubblico e comparato. La verità è che non si decide se tenersi o no questo Senato, ma se tenersi o no questo governo. E tutti sono consapevoli che le dimissioni di Renzi potrebbero avere nel Pd effetti imprevedibili. Potete essere certi che non servirà assolutamente e nulla dire che una riforma della Costituzione va tenuta distinta dalla sorte del governo, chi proverà a tenere le due questioni separate dimostrerà di non aver letto Carl Schmitt, il quale, un secolo fa, spiegava che la distinzione principale nell’estetica è bello e brutto, nella morale buono e cattivo, nell’economia redditizio e non redditizio, in politica amico e nemico. Ecco perché spesso viene avversata una buona proposta di legge unicamente perché è presentata dal nemico e viene sostenuta una pessima proposta di legge solo perché è presentata dall’amico. La politica è un’attività praticata sul crinale tra ragione e passione, accademia e tifoseria da stadio, lucido calcolo e spirito d’appartenenza. Nel caso non sia ancora abbastanza chiaro, lo spiego in termini più semplici: in politica è assolutamente normale evirarsi per fare dispetto alla moglie. Così, molti italiani voteranno “no” alla riforma costituzionale, perché, pur essendo favorevoli al Senato delle autonomie, vogliono farla finita con i governi di centrosinistra e dell’austerità; altri, a dispetto delle loro perplessità sul superamento del bicameralismo perfetto, voteranno “sì” perché temono che le dimissioni di Renzi spalanchino la porta ad una lunga stagione d’instabilità. Non so se Matteo Renzi abbia letto Schmitt. Ma, da buon fiorentino, Machiavelli l’ha letto di sicuro. Un altro che, quanto a realismo e spregiudicatezza, non doveva prendere lezioni da nessuno.

         Mauro Ammirati