Ormai, possiamo esserne certi, gli italiani andranno ad
eleggere il nuovo Parlamento nel 2018, la legislatura arriverà al suo termine
naturale. Non ci sarà il voto anticipato, principalmente, perché il Presidente
della Repubblica ha chiesto che le leggi elettorali di Camera e Senato siano «omogenee»,
mentre quelle vigenti non lo sono affatto ed a causa di tale diversità le
elezioni a breve rischierebbero di farci sprofondare nell’ingovernabilità. Non
si andrà al voto anticipato anche perché vi si oppone un fronte, trasversale a
tutti i partiti, di senatori e deputati, consapevoli che conclusa l’attuale
legislatura, probabilmente, in Parlamento non metteranno più piede, se non come
visitatori. Dunque, le forze politiche italiane hanno, circa, un anno di tempo
per fare le riforme elettorali, oggettivamente, necessarie e stipulare le
alleanze con cui presentarsi all’elettorato. Purtroppo, non si può affatto
escludere che questo periodo di tempo passi inutilmente, per ora, all’orizzonte
si vedono solo nubi. Come abbiamo spiegato più volte, le leggi elettorali
neutre non esistono, nessuna riforma in questa materia può essere indolore per
tutti, qualche giocatore deve rimetterci. Anche piccoli “ritocchi”, come, per
esempio, restringere i collegi o aumentare di poco le soglie di sbarramento ,
comportano, per qualcuno un prezzo da pagare. E questo ogni uomo politico lo
sa. Perciò, dobbiamo mettere nel conto, sperando di sbagliarci, che tra un anno
si vada a votare con le leggi elettorali che abbiamo oggi. Quanto alle alleanze,
la situazione non è meno complicata. Attualmente, il centrodestra ed il
centrosinistra sono due cantieri dove i lavori sembrano procedere confusamente.
Le divisioni nei due campi opposti non sono dovute alla scelta del candidato
alla guida del governo (o alle modalità con cui sceglierlo), stavolta il vero
problema è costituito dal programma. In ultima analisi, la questione centrale è
l’austerità, imposta al nostro Paese dai vincoli esterni, quelli comunitari,
sul bilancio. I potenziali alleati dei due schieramenti hanno idee diverse ed
abbastanza lontane sul tema. Nel centrodestra, la Lega Nord e Fratelli d’Italia
sostengono che occorra riprendersi la sovranità monetaria, cioè uscire da
Eurozona e tornare alla lira. Idea alla quale Berlusconi è contrario e, per
evitare la rottura definitiva con le forze sovraniste, si è spinto fino al
punto di proporre l’emissione d’una moneta nazionale parallela, che i leghisti
hanno immediatamente respinto. Trovare un’intesa su questo punto non sarà
affatto facile, dato che la linea antieuropeista ha portato finora molti
consensi a Salvini, anche nell’Italia centrale. Nel Pd c’è stata una scissione
che ha portato alla nascita d’un nuovo soggetto politico, i Democratici e
Progressisti, Dp, da oggi occorrerà fare attenzione agli acronimi per evitare
confusione. Anche qui a dividere è l’austerità, i Dp mettono al primo punto del
loro programma la lotta alla disoccupazione ed al lavoro precario, chiedono una
politica più attenta alle garanzie sociali, tranne alcuni, come Stefano
Fassina, non chiedono che l’Italia esca dalla moneta unica, perciò non si
capisce ancora (io, almeno, non l’ho ancora capito) come intendano conciliare
gli obiettivi che affermano di perseguire con il rigore finanziario imposto
dalla Commissione europea. E se la scissione c’è stata, è segno che nel Pd
sull’osservanza ai dettami dell’Ue la pensano diversamente. Neppure a sinistra,
dunque, la formazione di un’alleanza si presenta come un compito facile.
Infine, c’è il terzo polo, il M5S, che non si allea con nessuno e, per quanto
attiene all’austerità, propone che siano gli italiani a decidere se restare o
no nella moneta unica, per mezzo d’un referendum (che la nostra Costituzione,
in materia di trattati internazionali, vieta). In conclusione, c’è tanta
confusione sotto il cielo. Così tanta che un anno potrebbe trascorrere senza
portate alcunché di buono.
Mauro Ammirati