venerdì 4 maggio 2018

Una crisi istruttiva


         Comunque si concluda, questa crisi di governo ha insegnato qualcosa d’importante anche ai cittadini che non hanno molta familiarità con l’economia e la politologia. Probabilmente, tanti italiani dopo due mesi di negoziati inconcludenti per la formazione d’un nuovo governo, si saranno chiesti come mai i mercati se ne stessero buoni e tranquilli. Per decenni si erano sentiti dire, ogni giorno, che la governabilità era fondamentale per il buon andamento dell’economia e l’efficienza delle istituzioni, soprattutto in un Paese, come il nostro, che avesse un grande debito pubblico. Poi, hanno scoperto che l’Italia può restare due mesi senza che il Parlamento appena eletto voti la fiducia ad un nuovo governo e senza che accada alcunché di catastrofico. Non solo, c’è anche un’altra riflessione da fare. Nell’autunno 2011, avevamo un governo sostenuto da una forte maggioranza parlamentare ed il debito pubblico era al 116% del Pil. Non c’era un problema di governabilità, eppure lo spread (il differenziale tra le quotazioni dei nostri titoli di Stato e quella dei bund tedeschi) salì quasi fino a 600, si scatenò il panico, si parlò di «rischio bancarotta», il governo Berlusconi fu costretto a dimettersi e venne sostituito da un altro, quello di Mario Monti, semplicemente perché quest’ultimo si pensava fosse considerato più affidabile dai mercati. Un’operazione che avvenne nel segno dell’urgenza e dell’emergenza. Oggi, sette anni dopo, scopriamo che il debito pubblico italiano è salito fino al 132% del Pil e, nonostante il Parlamento eletto il 4 marzo non abbia ancora dato un nuovo governo al Paese, lo spread è basso e nelle borse c’è calma piatta. Dunque, i bei discorsi sull’importanza della stabilità governativa e sul debito pubblico ecco che vanno a farsi benedire, soprattutto se si considera anche che Belgio (un altro Paese che ha un alto debito pubblico) e Spagna (uno dei Piigs, cioè gli Stati reputati finanziariamente deboli e vulnerabili) sono rimasti circa due anni nell’ingovernabilità e neanche in quei casi è arrivata l’Apocalisse. Cosa c’è di diverso rispetto alla situazione del 2011? Sostanzialmente, da tre anni la Bce interviene sui mercati ed acquista titoli di Stato di vari Paesi, compreso il nostro. Le borse possono essere isteriche quanto vogliono, ma interviene l’istituto d’emissione, che crea denaro a costo zero ed acquista i nostri Bot ed i nostri Cct, impedendo allo spread si schizzare in alto. Se la Bce avesse fatto altrettanto nell’autunno di sette anni fa, Berlusconi non si sarebbe mai dimesso e non sarebbe mai nato il governo Monti. Dunque, non solo l’ingovernabilità ed il debito pubblico non sono quei mostri di cui si parla incessantemente 365 giorni l’anno, ma constatiamo anche che il cosiddetto «primato dell’economia» è un’invenzione, precisamente è una scelta politica. L’economia prevale sulla politica quando questa sceglie di essere debole e di avere un ruolo secondario. La Bce è indipendente, nessuno avrebbe potuto costringerla nel 2011 ad acquistare i nostri titoli di Stato. Il punto è che è indipendente per volontà della politica. In Giappone, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti la banca centrale è «prestatore d’ultima istanza», significa che è sempre pronta ad intervenire affinché i titoli di debito pubblico non restino invenduti, così garantisce che allo Stato non manchino mai i soldi. Eurozona, invece, è stata istituita sul primato dell’economia, cioè sulla debolezza della politica e la sua subalternità alla finanza ed alle multinazionali.
         Un’altra lezione importante che si trae da questa crisi di governo è che molti nostri politici hanno le idee un po’ confuse sul parlamentarismo. Il M5S affermava: «La Presidenza del Consiglio spetta a noi perché siamo il partito che è arrivato primo.» Il centrodestra ribatteva: «Sì, ma noi siamo la coalizione che ha preso più voti.» Tanto gli uni, quanto gli altri, dovevano aver scambiato un sistema parlamentare con l’atletica leggera. Nei 100 metri vince chi arriva primo, quindi sale sul podio, con la medaglia d’oro al collo. In un sistema parlamentare, in realtà, è indifferente l’ordine d’arrivo, conta il potere di formare coalizioni di governo, cioè una maggioranza in una Camera o, come nel nostro caso, in tutte e due. Il Pci, per mezzo secolo, ha raccolto il 30% dei voti ed arrivava sempre secondo, ma non ha mai governato. Governavano i liberali con il 2% ed i socialdemocratici con il 4%. Ecco che abbiamo scoperto un’altra cosa importante: anche ad un leader politico nazionale non fa male leggersi un manualetto di diritto costituzionale.      
         Mauro Ammirati