Ora sembra che sia scomparso anche il fuso orario. A New York, a Roma, a Parigi ed a Copenaghen l’orologio segna la stessa ora. La sera del 11 settembre 2001 in Europa non trovavi nessuno che steccasse, manco a pagarlo. Era un coro perfetto: «Siamo tutti americani.» Tempo qualche mese ed ogni europeo tornò a fare il proprio mestiere, gli antiamericani tornarono a fare gli antiamericani. Oggi, grazie a Dio, senza che sia accaduta alcuna tragedia, nel Vecchio continente si rivive lo stesso spirito dell’11 settembre: siamo tutti americani. L’elezione alla Presidenza della Repubblica d’un americano di colore ha di certo riavvicinato States ed Europa, era inevitabile, inoltre, che Barack assurgesse ad icona del riscatto degli afroamericani e, forse, di tutti gli statunitensi che non siano wasp. Non capitava da molto tempo che il Vecchio ed il Nuovo Mondo si sentissero così vicini. Perché quella generata dall’attentato alle Twin Towers era una solidarietà compassionevole, una comunanza di sentimenti originata dal dolore che aveva colpito migliaia di famiglie. Erano state troppo sconvolgenti quelle immagini televisive che ci avevano fatto vedere l’Apocalisse in diretta, perché, almeno per qualche settimana, non ci si sentisse anche a Roma tutti americani. Ma si trattava d’una reazione emotiva, era un filoamericanismo occasionale ed effimero. Infatti, ebbe breve durata. Stavolta è diverso, l’entusiasmo scatenato in Europa dalla vittoria di Obama ci riporta ai tempi di JFK (che, però, aveva origini irlandesi, cioè europee ed era cattolico). Oggi come allora, gli europei sperano che l’uomo della White House rappresenti “l’altra” America, che incarni una politica più attenta alla causa dei più deboli, meno belligerante, più dialogante e, soprattutto, capace di regalare un sogno al mondo intero. «Yes we can» altro non esprime che un sogno. Non è un caso che su questa sponda dell’Atlantico, nelle ultime ore i termini più abusati del vocabolario inglese siano “dream” e “change”. Proprio qui dobbiamo soffermarci nella nostra analisi. Non so quanto sia fondata, ma l’impressione è che moltissimi europei abbiano preso una cantonata, scambiando Obama per qualcun altro. La figura del neopresidente ha ormai innegabilmente una forte carica simbolica, ma se vogliamo metterla su questo piano, allora sia chiaro: Barack non è Salvador Allende, non è neppure Olof Palme e, per venire ai giorni nostri, non è neppure Zapatero. Le troppe aspettative che si sono create intorno ad Obama sono destinate, temo, a restare deluse. Il nuovo Presidente può parlare d’un mondo migliore, ci crede davvero e fa bene. Ma non potrà disinteressarsi alla guerra al terrorismo che ha colpito gli States nel cuore, una guerra che è ancora lungi dal concludersi; cercherà di accelerare il ritiro delle truppe dall’Irak, ma dovrà agire con prudenza, tenendo conto dell’evolversi della situazione in Medio Oriente; cercherà altresì di migliorare i rapporti con il mondo palestinese, ma non potrà rinunciare all’amicizia storica con Israele. Non potrà nemmeno disinteressarsi alla questione nordcoreana ed iraniana, senza contare che in Afghanistan il momento è quanto mai difficile. Sulla riforma sanitaria e le pari opportunità ha assunto un impegno preciso, ma la caduta libera della Borsa non si è ancora arrestata e l’economia arranca. Sognare è giusto, aggiungo, è doveroso. Ma la politica si fa con i piedi per terra, lo stesso Barack ne è consapevole, è un uomo che ha un forte ascendente e sa incantare l’uditorio, ma è molto più pragmatico di quanto si creda in Europa. Barack è un liberal, non un uomo privo del principio di realtà. Molto presto lo capiranno anche qui da noi. E gli antiamericani torneranno a fare il loro mestiere.
Mauro Ammirati
Mauro Ammirati
1 commento:
Complimenti Mauro. E' il tuo miglior editoriale. Talmente perfetto che non riesco a scrivere un commento.
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