Silvio Berlusconi, di recente, ha dichiarato in diverse
circostanze che sta pensando seriamente di presentare, per la sesta volta (!),
alle prossime elezioni politiche, la sua candidatura alla guida del governo. Si
è riservato qualche mese per riflettere, non prenderà alcuna risoluzione, ha
fatto sapere, prima di ottobre. Non è da escludere che sia un’abile mossa
tattica, studiata a tavolino – come alcuni sostengono – per mettere in
difficoltà il centrosinistra, uno schieramento tenuto insieme, per diciotto anni,
solo dall’avversione comune allo stesso Berlusconi. All’indomani
dell’insediamento del governo Monti, lo smarrimento del Partito Democratico e
degli altri partiti di centrosinistra era palpabile. Privi del “nemico”, considerato
per quasi un ventennio la principale causa di tutti i problemi italiani, il
“male” da debellare ad ogni costo, sembrava non sapessero più che dire e che
fare. Forse allora hanno capito che la guerra ad oltranza al Cavaliere di
Arcore, cominciata nel 1994 e combattuta pervicacemente fino all’autunno 2011,
li aveva ormai disabituati a fare politica. Avendo anteposto, per molto tempo, l’abbattimento
di Berlusconi a tutto, compresa l’elaborazione di idee e programmi,
inevitabilmente, venuto a mancare il nemico, il centrosinistra è caduto in una
crisi d’identità. Ecco perché, come insegnano i politologi, la vittoria uccide.
Ne sanno qualcosa i democristiani italiani, che hanno visto il loro partito
sbriciolarsi insieme al muro di Berlino. Consapevole di questo, il fondatore
del (fu) centrodestra, ora preferisce giocare a carte coperte, tenendo la sua
strategia in sospeso porta scompiglio nel campo opposto. La contrapposizione
tra Bersani ed il giocane Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, nelle primarie nel
Partito Democratico, è divenuta una resa dei conti tra generazioni. Da un
simile scontro, un forza politica rischia di uscire ridotta in macerie. Ma,
tatticismi a parte, verosimilmente, Berlusconi è davvero incerto sul da farsi.
Ammesso che abbia già preso una decisione, sicuramente questa non è definitiva
ed irrevocabile. Il futuro presenta troppe incognite per buttarsi nella mischia
senza esitazioni, come fece diciotto anni fa. Le ragioni dell’indecisione di
Berlusconi aiutano a capire il quadro generale. Per cominciare, non si sa con
quale legge elettorale si andrà a votare. Se come pare assai probabile, resterà
in vigore quella attuale, che assegna un premio di maggioranza alla coalizione
vincente, il rischio per il Pdl sarà alto, perché la nascita del governo Monti
ha segnato la fine dell’alleanza con la Lega, il cui nuovo leader, Roberto
Maroni, medita di rinunziare a presentare liste del suo partito alle elezioni
politiche, per rafforzare l’identità della stessa Lega come “partito del
territorio”, cioè, del Nord. Se non si rinsalda il rapporto con il leghisti, per
il Pdl conseguire il premio di maggioranza sarà assai difficile. Inoltre, non
si sa quale sarà la situazione economica mondiale tra tre o quattro mesi, infatti
non si esclude che ci si debba affidare ai tecnici anche nella prossima
legislatura. Fu proprio la tempesta finanziaria dell’estate 2011 ad indurre
Berlusconi a dimettersi da Capo di governo. Quindi, è impensabile che certe
valutazioni ora proprio lui non le faccia. Infine, non si sa neppure quanti
elettori andranno a votare e quanti consensi raccoglierà il “Movimento 5
stelle”, il cui programma stabilisce di sostituire la democrazia
rappresentativa con la democrazia diretta, da praticarsi tramite il web (un
esperimento che non avrebbe precedenti nella storia). In altri termini, nel
caso non sia ancora chiaro, le prossime elezioni potrebbero concretizzarsi in
una specie di “processo di piazza” ad un’intera classe politica. Detto tra noi,
non sarei sorpreso se Berlusconi alla fine rinunziasse.
mercoledì 12 settembre 2012
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