mercoledì 12 settembre 2012

Una scelta difficile


         Silvio Berlusconi, di recente, ha dichiarato in diverse circostanze che sta pensando seriamente di presentare, per la sesta volta (!), alle prossime elezioni politiche, la sua candidatura alla guida del governo. Si è riservato qualche mese per riflettere, non prenderà alcuna risoluzione, ha fatto sapere, prima di ottobre. Non è da escludere che sia un’abile mossa tattica, studiata a tavolino – come alcuni sostengono – per mettere in difficoltà il centrosinistra, uno schieramento tenuto insieme, per diciotto anni, solo dall’avversione comune allo stesso Berlusconi. All’indomani dell’insediamento del governo Monti, lo smarrimento del Partito Democratico e degli altri partiti di centrosinistra era palpabile. Privi del “nemico”, considerato per quasi un ventennio la principale causa di tutti i problemi italiani, il “male” da debellare ad ogni costo, sembrava non sapessero più che dire e che fare. Forse allora hanno capito che la guerra ad oltranza al Cavaliere di Arcore, cominciata nel 1994 e combattuta pervicacemente fino all’autunno 2011, li aveva ormai disabituati a fare politica. Avendo anteposto, per molto tempo, l’abbattimento di Berlusconi a tutto, compresa l’elaborazione di idee e programmi, inevitabilmente, venuto a mancare il nemico, il centrosinistra è caduto in una crisi d’identità. Ecco perché, come insegnano i politologi, la vittoria uccide. Ne sanno qualcosa i democristiani italiani, che hanno visto il loro partito sbriciolarsi insieme al muro di Berlino. Consapevole di questo, il fondatore del (fu) centrodestra, ora preferisce giocare a carte coperte, tenendo la sua strategia in sospeso porta scompiglio nel campo opposto. La contrapposizione tra Bersani ed il giocane Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, nelle primarie nel Partito Democratico, è divenuta una resa dei conti tra generazioni. Da un simile scontro, un forza politica rischia di uscire ridotta in macerie. Ma, tatticismi a parte, verosimilmente, Berlusconi è davvero incerto sul da farsi. Ammesso che abbia già preso una decisione, sicuramente questa non è definitiva ed irrevocabile. Il futuro presenta troppe incognite per buttarsi nella mischia senza esitazioni, come fece diciotto anni fa. Le ragioni dell’indecisione di Berlusconi aiutano a capire il quadro generale. Per cominciare, non si sa con quale legge elettorale si andrà a votare. Se come pare assai probabile, resterà in vigore quella attuale, che assegna un premio di maggioranza alla coalizione vincente, il rischio per il Pdl sarà alto, perché la nascita del governo Monti ha segnato la fine dell’alleanza con la Lega, il cui nuovo leader, Roberto Maroni, medita di rinunziare a presentare liste del suo partito alle elezioni politiche, per rafforzare l’identità della stessa Lega come “partito del territorio”, cioè, del Nord. Se non si rinsalda il rapporto con il leghisti, per il Pdl conseguire il premio di maggioranza sarà assai difficile. Inoltre, non si sa quale sarà la situazione economica mondiale tra tre o quattro mesi, infatti non si esclude che ci si debba affidare ai tecnici anche nella prossima legislatura. Fu proprio la tempesta finanziaria dell’estate 2011 ad indurre Berlusconi a dimettersi da Capo di governo. Quindi, è impensabile che certe valutazioni ora proprio lui non le faccia. Infine, non si sa neppure quanti elettori andranno a votare e quanti consensi raccoglierà il “Movimento 5 stelle”, il cui programma stabilisce di sostituire la democrazia rappresentativa con la democrazia diretta, da praticarsi tramite il web (un esperimento che non avrebbe precedenti nella storia). In altri termini, nel caso non sia ancora chiaro, le prossime elezioni potrebbero concretizzarsi in una specie di “processo di piazza” ad un’intera classe politica. Detto tra noi, non sarei sorpreso se Berlusconi alla fine rinunziasse.
Mauro Ammirati

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