venerdì 12 settembre 2014

Un'altra illusione


         La notizia più importante delle ultime settimane (o, comunque, una delle più importanti), almeno per l’Italia, è arrivata da Francoforte: la Bce ha tagliato i tassi di interesse di 10 punti base, ha annunciato che acquisterà titoli sul mercato ed aumentato i tassi di interessi negativi sulle riserve bancarie. Nessuno si spaventi, mi spiego subito: l’istituto d’emissione sta semplicemente cercando di mettere più denaro in circolazione, aumentando la quantità di moneta a disposizione delle banche.  La notizia è stata accolta con favore nel nostro Paese ed in Francia, mentre ha accresciuto la diffidenza dei tedeschi verso l’italiano Mario Draghi. La Germania, come si sa, esige, principalmente da noi e dai nostri cugini transalpini, rigore nel contenimento dei debiti e dei deficit pubblici, mentre la Bce taglia il costo del denaro, provocando un deprezzamento dell’euro sul dollaro. Proprio ciò che fa, tradizionalmente, imbestialire i tedeschi, che hanno la fissazione della moneta forte e la fobia delle svalutazioni. Il punto più importante, però, è un altro ed autorevolissimi economisti, compreso qualche premio Nobel, non hanno mancato di farlo notare: la manovra in questione è inefficace, non aiuterà l’economia dell’eurozona a riprendersi, non faciliterà la ripresa né la creazione di posti di lavoro. L’errore della Bce e di tanti statisti è quello di pensare che più soldi vengono dati alle banche, più queste saranno propense a concedere prestiti alle aziende. Ahinoi, non è così. E non lo dico io, ma la Bank of England. Recentemente nel suo bollettino la banca centrale inglese ha spiegato che le banche negano o concedono prestiti non sulla base della quantità di denaro di cui dispongono, ma valutando quanto renderebbe il prestito nel caso venisse concesso (e, ovviamente, la solvibilità di chi lo chiede). Ora, si dà il caso che, statistiche alla mano, le imprese francesi ed italiane non investano perché non riescono a vendere i loro prodotti all’estero (l’euro è una moneta troppo forte e le mette fuori mercato) né in casa loro (dove la domanda di beni e servizi è troppo debole, cioè le famiglie sono rimaste senza soldi). Dunque, perché mai un’azienda di Bologna o Nizza dovrebbero investire? Se anche queste imprese volessero approfittare del basso tasso di interesse e si mettessero ad investire e produrre, i loro prodotti resterebbero sugli scaffali o in magazzino. Lo sanno gli imprenditori e lo sanno anche le banche. La crisi dell’eurozona è dovuta a questo, è crisi di domanda. Per la medesima ragione non serve neppure modificare le norme vigenti per facilitare i licenziamenti o favorire le assunzioni. Ve lo dico con le parole d’un imprenditore con cui parlavo tempo fa, uno che ha un centinaio di lavoratori alle sue dipendenze: «Che me ne faccio degli incentivi ad assumere se non ho gli ordinativi? Prendo un ragazzo e poi lo faccio stare con le mani in mano?» Renzi e Berlusconi sembra che non abbiano ancora compreso la vera natura del problema. L’uno e l’altro sono convinti che per far ripartire l’Italia occorrano una burocrazia più snella, una riforma della giustizia per abbreviare i tempi di processi e cause civili, insieme con una riforma del Parlamento e della legge elettorale. Intendiamoci, a queste materie si deve mettere mano, lo abbiamo scritto più volte e lo ribadiamo. Ma non saranno tali riforme a ridare vigore alla nostra economia. Abbiamo sentito tante volte dire che una recessione così devastante non si vedeva dal 1929. Il Presidente americano F. D. Roosvelt affrontò quella crisi drammatica con il New Deal, un vasto programma di opere pubbliche. Poi ci fu l’attacco giapponese a Pearl Harbor e, per quanto sia rivoltante dirlo, la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra diede un’ulteriore spinta alla loro economia. Al punto che, terminato il conflitto, aiutarono anche noi a rimetterci in piedi, staccando un assegno per il nostro Alcide De Gasperi (ve lo ricordate il Piano Marshall?). Non si esce dalle recessioni, purtroppo, se lo Stato non fa da traino all’economia (cominciando con il rilancio dell’edilizia pubblica). Ma di investimenti pubblici, in Italia ed in Francia, di questi tempi, non si può neanche parlare. I parametri comunitari ci impongono tagli al bilancio, i quali comprimono ulteriormente la domanda. È un circolo vizioso, se non l’avete capito. Nell’ultimo numero vi parlai del successo alle elezioni europee di Marine Le Pen in Francia e dell’antieuropeismo crescente. Da allora, dicono i sondaggi, i consensi ai partiti antieuropeisti sono andati aumentando. Non so voi, ma io non ne sono sorpreso.

         Mauro Ammirati