Qualche mese fa, la Nasa ha dichiarato di avere scoperto un
pianeta, molto simile al nostro, ma una volta e mezza più grande, l’hanno chiamato
Kepler 452 B e ci è stato anche detto che un giorno potremmo andare a viverci.
La vera notizia, purtroppo, è un’altra: Kepler 452 B è disabitato. Non c’è
manco, come suol dirsi, un’anima viva da quelle parti. Così, qualche spiritoso
ha proposto di farne un’immensa discarica, «così, qui da noi, la facciamo
finita con la raccolta differenziata». Ma, battute a parte, è un vero peccato
che questo pianeta gemello della Terra possa essere, nella migliore delle
ipotesi, colonizzato, ma non sfruttato secondo le nostre esigenze. Perché, di
questi tempi, noi miseri terrestri non cerchiamo nuovi spazi, ma nuovi clienti.
Già, siamo ridotti così male che ci tocca conquistare nuovi mercati, ormai,
nell’universo. L’economia dei giorni nostri, infatti, è stata costruita su un
principio tanto semplice, quanto devastante: una nazione non produce per
consumare, ma per esportare. Ogni Paese distrugge la domanda interna, per
vendere i suoi prodotti ai consumatori che vivono fuori dai propri confini,
cerca di attirare in tutti i modi possibili, soprattutto con misure fiscali,
investimenti stranieri, in economia si dice: «beggar
thy neighbour», frega il tuo vicino. Ora, non occorre un’intelligenza
straordinaria per capire che se tutti vogliono esportare e nessuno vuole
importare, se tutti vogliono vendere e nessuno vuole acquistare, se ognuno
cerca di essere più furbo dell’altro, a lungo andare, il motore dell’economia
mondiale si ingrippa, come se qualcuno ci avesse buttato dentro la sabbia. Ed è
quanto sta succedendo ai giorni nostri. Purtroppo, come vi ho appena spiegato,
questi maledetti “kepleriani” non esistono, accidenti a loro!, quindi dobbiamo
risolvere i nostri problemi qui, su questo pianeta. La razionalità vorrebbe che
si tornasse a produrre per consumare e che le esportazioni non fossero più l’obiettivo
principale, che, insomma, la facessimo finita, una volta per tutte, con questa
competizione internazionale senza freni e senza remore, ma leaders politici ed
economisti non vogliono darsene per inteso. Valga per tutti come esempio il
nostro Matteo Renzi che ripete la litania: «La globalizzazione è una risorsa»,
mentre gli stranieri ci portano via un’industria dopo l’altra ed egli stesso ci
invita a brindare perché la disoccupazione è scesa sotto il 13% ed il Pil è
aumentato lo scorso luglio dell’0,3%, si prevede l’0,7% su base annua. Sarebbe
bene che qualcuno spiegasse al nostro Capo di governo che il dato dei senza
lavoro esclude i cosiddetti “rassegnati” (gli italiani che, disperando di
trovare un’occupazione, non rinnovano l’iscrizione alle liste di collocamento,
per l’Istat ormai sono fantasmi) ed un milione di italiani che, negli ultimi
dieci anni, è espatriato; quanto alla produzione, per i decimali non si fa
festa neanche in tempi di guerra. Ma Renzi insiste che siamo in ripresa,
perché, dice, «davanti al Pil ora c’è il segno “più” e prima c’era il “meno”».
Sembra che non basti più la persuasione, quindi ora ci prova con l’ipnosi. A
nulla vale spiegargli che servono a poco misure come il Job act o il credito
d’imposta per chi assume, perché il problema dei nostri imprenditori è che i
loro prodotti restano invenduti, dato che non vengono acquistati all’estero -
perché tutti stanno svalutando la propria moneta, allo scopo di diminuire le
importazioni - né in Italia, perché l’austerità ha distrutto il mercato
interno. Speriamo che la Nasa scopra un altro pianeta. Ma, stavolta, per
favore, che sia abitato.
Mauro
Ammirati
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