Per quale ragione un Capo di governo quarantunenne, quindi
relativamente giovane (per i parametri della politica italiana, giovanissimo,
un ragazzino), con una carriera spalancata davanti a sé, decide di giocarsi il
tutto per tutto in un referendum? È inevitabile porsi questa domanda, dopo che
Matteo Renzi ha dichiarato solennemente che se perderà il referendum sulla
riforma costituzionale, da tenersi il prossimo ottobre, chiuderà con la
politica e se ne tornerà a casa. C’è un precedente – perdonateci l’accostamento
un po’ azzardato, perché parliamo d’un gigante della storia del XX secolo – ed
è quello di Charles de Gaulle. Nel 1969, il generale aveva la Francia nelle sue
mani, ma indisse un referendum, anche quello avente ad oggetto una riforma
costituzionale (ed anche in quel caso si trattava del Senato), dichiarando che,
in caso d’esito negativo, si sarebbe dimesso da Capo dello Stato. Ma le
differenze tra le due circostanze sono considerevoli: de Gaulle era ormai un
uomo anziano (aveva quasi il doppio degli anni di Renzi), di lì a poco sarebbe
andato in pensione comunque e, soprattutto, un posto nella storia se l’era già
assicurato, partecipando alla Resistenza francese, risolvendo la questione
algerina con il minimo danno possibile e dando vita alla Quinta Repubblica.
Dunque, da cosa ha origine la decisione di Renzi di giocarsi il suo futuro alla
slot machine del voto del prossimo autunno? A mio parere, da un progetto
politico molto ambizioso: costruire una nuova Ue, farne un’organizzazione
sovrannazionale ben diversa da quella attuale, tecnocratica e formata da troppi
satelliti che girano intorno alla Germania. Renzi sta semplicemente osservando
cosa accade “lì fuori”, oltre l’Europa continentale, il nucleo originario della
Comunità. E vede che c’è tanta confusione sotto il cielo. Oltremanica, prende
corpo il rischio Brexit, la Gran Bretagna, il prossimo 23 giugno, deciderà,
anche qui con un referendum, se restare o no nell’Ue. Comunque vada, il voto a
favore della separazione raggiungerà un’alta percentuale, il che è già
indicativo d’un forte malessere verso le istituzioni comunitarie. C’è la
questione profughi, un fenomeno davanti al quale molti Paesi dell’Ue hanno
ripristinato le frontiere nazionali e tanti saluti all’Europa della
solidarietà. C’è il Medio Oriente in fiamme, un incendio che abbiamo alle porte
di casa, perché l’Isis è arrivato in Libia, un’altra questione in cui non si
vede traccia d’una politica estera europea. L’Ue si è mostrata compatta solo
sul fronte Ucraina, combinando un disastro e scatenando una guerra (se Putin
fosse davvero quel pericoloso nazionalista di cui si parla, Dio solo sa cosa
sarebbe avvenuto). Ci sono anche le primarie americane, in cui due outsider,
Sanders e Trump hanno sconvolto tutti i giochi. Sono due figure lontanissime,
appartengono a due mondi diversi, ma se l’uno e l’altro hanno raccolto tanti
consensi è segno che anche molti americani non ne possono più di un’economia
che, in ultima analisi, sa solo comprimere i salari, sostituendo mano d’opera
locale con immigrati. E, restando in tema d’economia, nell’Europa comunitaria,
la situazione va facendosi drammatica, dando fiato, per di più, ai movimenti
d’estrema destra. Per tutte queste ragioni, Renzi è sempre più insistente nel
chiedere che l’Ue sia «più attenta alla crescita» e meno ai dati contabili, di
farla finita con l’austerità, che ha già distrutto un Paese come la Grecia, di
anteporre la creazione di lavoro all’esigenza dei conti in ordine, per farla
breve, di costruire una nuova organizzazione di Stati in cui non ci siano più gli
scolari virtuosi a dare lezioni agli indisciplinati. Ma, come è facile
comprendere, per combattere una simile battaglia occorre intanto avere un forte
sostegno, quindi un’alta percentuale di consensi, in casa propria. Renzi poteva
scegliere la strada delle elezioni anticipate. Ma il referendum sulla riforma
costituzionale si presta in modo particolare a diventare un plebiscito su un
leader che alza la posta al massimo, dicendo: o vinco o vado a casa. Non è solo
questione di coraggio. È lucida razionalità. I tempi, “lì fuori”, stanno già
cambiando. E oltre le Alpi non l’hanno ancora capito.
Mauro Ammirati