Davvero, come sostengono in molti, la Brexit e la vittoria
di Donald Trump sono solo i segni più evidenti della fine di un’epoca? Siamo in
presenza dell’onda lunga d’un nuovo movimento politico originato da un
sentimento d’avversione alle élites sempre più diffuso in larghi strati della
popolazione? Probabilmente, è un po’ azzardato affermare che, dopo quanto
avvenuto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, il mondo non sarà più come
prima, ma sarebbe sicuramente un grave errore considerare i fatti in questione
dei semplici incidenti di percorso. Di questo movimento politico, a cui è stato
dato il nome di «populismo», credo che,
in tanti, non abbiano ancora compreso la vera natura. Vengono considerati «populisti»
e messi nello stesso calderone tutti i leaders politici che, negli ultimi anni,
hanno saputo cavalcare il crescente malcontento nelle società occidentali, il
che, a mio parere, è già indice di superficialità. Cos’hanno in comune Beppe
Grillo, Donald Trump, Nigel Farage, Matteo Salvini, Marine Le Pen, Viktor
Orban, considerati tutti populisti? E cosa unisce quei movimenti, etichettati
(a torto o a ragione) di destra che stanno prendendo piede anche in Nord
Europa? Molto poco. Sicuramente, una
certa capacità di sedurre i settori più arrabbiati dell’elettorato, un certo
ascendente su quella parte della società che ha pagato, negli ultimi anni, il
prezzo più alto alla recessione. Ma le affinità finiscono qui. Li divide tutto
il resto. La verità è che in quel fenomeno chiamato convenzionalmente populismo
trovi liberisti, socialisti, nazionalisti, europeisti, ecologisti, marxisti,
gruppi che chiedono di fronteggiare i flussi migratori con il pugno di ferro o
che combattono contro la privatizzazione del servizio d’erogazione dell’acqua,
neofascisti, uomini e donne che salutano con il pugno chiuso o, come si diceva
una volta, «romanamente»..., c’è di tutto. Dunque, come già accennato, l’unico
elemento comune è un’aspra, feroce contrapposizione all’establishment. Ma,
quanto ai programmi, ognuno ha il suo, ben diverso da quello degli altri. In
Italia, la Lega Nord è contro l’euro e l’Ue, come il Fn francese, mentre il
M5S, sugli stessi temi, si mostra molto più cauto; anche sulla questione
immigrazione Salvini e Grillo parlano linguaggi diversi; Trump ha saputo accreditarsi
in campagna elettorale come un fiero protezionista, promettendo di voler
rimettere in discussione i trattati commerciali, cominciando dal Nafta, ma ha
altresì assunto l’impegno di tagliare il deficit ed il debito pubblico, che
invece è cresciuto di quasi il 30% con il moderato Obama; l’ungherese Orban è
stato contestato dai vertici dell’Ue per aver, di fatto, riportato la banca
centrale del suo Paese sotto il controllo del governo, una misura di
straordinaria importanza e che ha quasi del sacrilego nell’Europa comunitaria,
ma non si ha notizia di altri movimenti detti populisti che abbiano dichiarato
di voler fare altrettanto. Potrei andare avanti a lungo, ma vado dritto al
punto: il populismo non è una categoria della politica, è un termine vuoto,
senza un concetto che lo definisca, essere populista non significa niente. E lo
scrivo per la semplice ragione che le classi dirigenti dei Paesi occidentali
pensano di risolvere la grave, profonda e drammatica crisi che attraversa le
nostre società semplicemente rinchiudendo nello stesso cortile, appunto quello
dei «populisti», allo scopo di screditarli, tutti coloro che danno voce al
grido di dolore che sale dal basso e non trova ascolto nelle istituzioni, nei
governi e nelle forze politiche storiche e tradizionali. Coloro che hanno in
mano le redini delle principali democrazie non hanno ancora capito quanti morti
e feriti abbia lasciato sul terreno la guerra economica che stiamo vivendo da
almeno vent’anni, ma si illudono di poter neutralizzare la rabbia degli esclusi
imprimendo il marchio di populista a chi insidia il loro potere. Fanno
quadrato, nella loro torre d’avorio, da bravi oligarchi e con spirito elitario,
come i socialisti ed i gollisti in Francia, come centrodestra e centrosinistra
in Italia, contro chi preme dall’esterno per prendere il loro posto. Ma questa
difesa ad oltranza non potrà durare all’infinito. Sono rimasti spiazzati e
sorpresi da questo nuovo fenomeno, non lo conoscono affatto, sanno solo che è
un loro nemico, ecco perché non si sforzano di capirlo, infatti gli hanno dato un nome che non significa
niente.
Mauro Ammirati