sabato 2 giugno 2018

Se il vento è cambiato...


         Per capire cosa stia succedendo in Italia, può essere utile spiegare un fatto che mi accadde un paio di anni fa. Ero ad un convegno, cui partecipavo come relatore, argomentavo che, per l’Italia, era stato un pessimo affare rinunciare alla lira, per adottare l’euro. L’altro relatore, un economista di fede europeista, ovviamente, sosteneva la tesi opposta, adducendo che con «la liretta» non saremmo andati da nessuna parte, che «l’Italietta» sarebbe stata sbranata dal mercato mondiale ecc. E fin qui, niente di sorprendente, perché, si sa, di questo tema, nel nostro Paese, non si è mai smesso di discutere, almeno tra addetti ai lavori e ripetendosi sempre le stesse cose. Parlammo a lungo, finché non gli chiesi: «Professore, ma lei davvero è convinto che dobbiamo ancora proseguire sulla strada dell’austerità?» Mi rispose: «No, assolutamente. L’austerità uccide.» Già, l’austerità uccide. Uno studioso onesto, che non sia accecato dall’ideologia o anche solo da un ideale, che analizzi i fatti in profondità, che li tratti con rigore scientifico, senza pregiudizi, che non confonda la politica con la religione, difficilmente può negare che comprimere la domanda interna per abbattere il debito pubblico è il modo più sicuro per accrescere lo stesso debito pubblico. L’austerità punta ad arrestare i consumi, quindi distrugge la produzione ed i posti di lavoro, svaluta i salari, diminuisce il gettito erariale, ossia le entrate del bilancio dello Stato ed il risultato, inevitabilmente, è che il debito aumenta.  È successo, negli ultimi tempi, in Italia ed è successo anche in Grecia. L’austerità aveva un senso negli anni ’70, quando la crisi era dovuta all’aumento del prezzo del petrolio, cioè ad un fattore esterno, indipendente dalla nostra volontà. Praticare, invece, l’austerità per abbattere il debito pubblico è un suicidio politico. Negli ultimi anni, lo avevano capito non solo economisti europeisti, ma anche i partiti ed i governi di centrosinistra, come quello di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, che chiedevano all’Ue di consentire all’Italia di spendere di più (almeno per le situazioni straordinarie, come la ricostruzione delle zone terremotate), ma inutilmente. Il centrosinistra aveva capito che la politica dei tagli alla spesa e del rigore finanziario l’avrebbe portato ad una sicura sconfitta elettorale, ma non poteva andare alla guerra con l’Ue senza ammettere, implicitamente, che avevano ragione i suoi avversari a criticare aspramente la Commissione europea. Il che sarebbe stato alquanto imbarazzante, oltre che un regalo alla propaganda della Lega e del M5S. Così, come volevasi dimostrare, le elezioni del 4 marzo le hanno vinte Lega e M5S. Non poteva essere altrimenti. Il Pd, finché è stato al governo, sapeva che stava andando a sbattere contro un muro, ma ha dovuto accelerare. Significa che gli italiani sono diventati antieuropeisti o euroscettici? Che hanno cambiato radicalmente opinione sulla politica estera dell’Italia? Che, addirittura, sono diventati, come afferma qualcuno, filorussi e putiniani? Nient’affatto. Gli italiani hanno semplicemente constatato che sette anni di sacrifici, di riforme gravose come quella sulle pensioni, sul lavoro e, addirittura, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione hanno drammaticamente peggiorato le loro condizioni di vita, senza dare alcun miglioramento in cambio. E durante quei sette anni, si sono sentiti ripetere, quotidianamente, che le riforme menzionate erano il prezzo da pagare per restare nell’Eurozona. Così, si sono detti: o si cambia l’Europa o se ne esce. È una valutazione semplice e concreta. Il governo di Giuseppe Conte è nato da un’intesa tra Lega e M5S, due forze politiche molto diverse tra loro, le accomuna solo l’avversione alla politica dell’austerità, nel corso della vecchia legislatura, si sono distinte per le loro aspre critiche alle direttive che provenivano dall’Europa comunitaria. Qualcuno dirà che avevano semplicemente fiutato che il vento era cambiato. Ed è vero anche questo. Ma ci sarà pure una ragione se, ad un certo punto, il vento è cambiato.
         Mauro Ammirati   

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