venerdì 12 settembre 2008

Presidenzialismo e laicità


Per noi italiani le elezioni presidenziali americane sono qualcosa al limite dell’inconcepibile o, nel migliore dei casi, “un’americanata”, cioè un miscuglio di spettacolo, mania di grandezza, competizione nevrotica con una spruzzata di moralismo puritano (che, per inciso, da queste parti non gode proprio di molta stima e che, nell’immaginario collettivo, è una sorta di versione moderna dell’antico fariseismo). Perché, si chiedono un po’ tutti in Italia (ma potremmo estendere il discorso a tutta l’Europa continentale), durante la campagna elettorale più importante degli States si va a scavare senza ritegno nella vita privata dei candidati, fino ad arrivare agli anni dell’adolescenza, del college, delle prime partite di basket o baseball…? Perché è così importante accertare – è il caso di Barack Obama - se il padre del candidato fosse uno studente modello o un perdigiorno? Perché mai dovrebbe interessare agli elettori che – è il caso della Palin – il candidato ha un figlio affetto da sindrome di Down? Perché dovrebbe essere di pubblico dominio il fatto che l’aspirante Presidente o Vicepresidente ha tradito il coniuge? Inconcepibile, appunto. Almeno per noi italiani. Qui a nessuno verrebbe in mente di chiedere a Fassino o a Berlusconi se in gioventù abbia mai fumato uno spinello o se, una volta sposato, abbia mai avuto una relazione extraconiugale. Nelle campagne elettorali cui noi siamo abituati il giornalista suole domandare al candidato cosa intenda fare per il fisco, l’ambiente, la disoccupazione e l’ordine pubblico, quali obiettivi intenda perseguire e quali rapporti coltivare e come in politica estera… Le vicende private e familiari restano fuori dal dibattito politico. Seguendola da questo punto d’osservazione, la corsa per la White House suscita inevitabilmente una domanda: perché gli americani attribuiscono tanta importanza alle qualità personali dei candidati, al punto da dare l’impressione che vengano anteposte ai programmi politici? Potremmo rispondere a tale domanda alla maniera del caro vecchio Humphrey Bogart: è il presidenzialismo, bellezza. Nei sistemi politico-istituzionali fondati sull’elezione diretta dell’esecutivo, le idee, i programmi e le strategie hanno un volto, un nome, un cognome, una voce e, forse, pure un accento. Gli ideali si incarnano in una persona, quindi l’ascendente, l’affidabilità e la credibilità di costui (o costei) soverchiano gli ideali stessi. Fatta eccezione per la Francia (dove dal 1958 vige un sistema semipresidenziale), nelle democrazie consolidate del Vecchio continente il presidenzialismo è solo materia per studiosi di diritto costituzionale, le classi politiche europee ne hanno sempre diffidato e continuano a diffidarne. Da questa parte del mondo suol dirsi che la vera contrapposizione/competizione è tra conservatori e socialdemocratici, non tra due individui, questo è il paradigma, il vero confronto è tra due modelli di società o due culture o due visioni del futuro. Ergo, a nessun elettore italiano o tedesco interessano minimamente i peccati gioventù di questo o quel candidato, men che meno se chi gli chiede il voto abbia alle spalle una famiglia unita o in via di dissoluzione. Dopodiché, aggiungerei che Europa e States hanno due concetti differenti di laicità (come, d’altra parte, non ha mancato recentemente di far notare Benedetto XVI). Per gli americani il Decalogo è una tavola di princìpi e valori etici universali, dunque la testata d’angolo della nostra civiltà, la radice della società giudaico-cristiana, dunque un patrimonio culturale inseparabile dalla politica. Riconoscimento che nel Vecchio continente è stato negato quando Giovanni Paolo II chiese che nella Costituzione dell’Unione europea vi fosse un riferimento ai princìpi medesimi. Da queste due concezioni differenti di laicità discendono due diverse concezioni della politica. Tempo fa un giornalista italiano scriveva che un candidato libertino può essere ritenuto preferibile dagli elettori cattolici ad un altro candidato loro correligionario. Credo che gli elettori americani in proposito non siano affatto d’accordo.
Mauro Ammirati

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