La “primavera araba” ha suscitato in Occidente entusiasmo e preoccupazione. Un atteggiamento solo in apparenza contradditorio. In verità, era difficile restare indifferenti vedendo milioni di giovani egiziani, tunisini e libici riempire le piazze chiedendo che anche nei loro Paesi venissero rispettate le libertà inalienabili della persona umana. Mai come in questi ultimi tempi quei popoli ci sono sembrati così simili a noi, quei ragazzi che, coraggiosamente, hanno rovesciato i regimi di Ben Alì e Mubarak potevano essere scambiati per i nostri figli o i nostri nipoti o i nostri fratelli minori. Era assolutamente normale solidarizzare con i rivoltosi di Tunisi, Il Cairo e Bengasi, sarebbe stato strano il contrario. Ciò che avviene nell’Africa settentrionale è l’ennesima dimostrazione che la democrazia ha le sue radici nella dignità della persona umana, l’anelito alla libertà è insopprimibile in ogni uomo ed in ogni donna, qualunque religione essi professino e dovunque essi vivano. La democrazia, contrariamente a quanto molti credono, non è un valore occidentale: è un valore universale, l’uomo è stato creato per essere libero, avendo ricevuto il dono del libero arbitrio. Chi non ha ancora capito questo principio, non può avere a cuore la causa della democrazia.
Quanto alle preoccupazioni, invece, il discorso da fare è un po’ complicato. La democrazia, infatti, non basta volerla, occorre costruirla, edificando un sistema, fondamentalmente, d’equilibrio di poteri. Come insegnava, tanti anni fa, don Luigi Sturzo: «La democrazia è partecipazione al potere.» Per quei popoli che non sono stati abituati a partecipare al potere, cioè a condividere il governo del Paese e della città, ad eleggere parlamenti, a scegliersi i propri rappresentanti nelle assemblee elettive, esercitare la democrazia è un’arte difficile. Il timore diffuso, oggi, in Occidente, è che egiziani, tunisini e libici (con o senza Gheddafi al potere) si lascino persuadere dalla propaganda di partiti islamici integralisti e confondano la democrazia con la teocrazia. Può succedere, perché parliamo di nazioni che la democrazia non l’hanno mai davvero conosciuta. Diciamolo subito: è un rischio che bisogna correre. Era rischioso anche provare ad instaurare la democrazia in Italia, Germania e Giappone, nel 1946. Ma i vincitori della Seconda guerra mondiale vollero darci quest’opportunità ed oggi anche noi possiamo dire di essere un popolo libero. Perché negare la medesima opportunità ai popoli nordafricani? L’integralismo religioso è una seria minaccia, ne siamo consapevoli. Ma siamo altrettanto consapevoli che ogni popolo deve essere padrone del proprio destino.
Un’altra causa di preoccupazione è costituita dalle notevoli diseguaglianze sociali presenti in Egitto, Tunisia e Libia. Nei primi decenni del XIX secolo, il francese Alexis de Tocqueville scriveva che gli Stati Uniti sarebbero diventati una grande nazione democratica, perché, spiegava, quella americana era una società di tanti piccoli proprietari. In quella giovane democrazia non si era mai radicata l’aristocrazia e, quindi, nemmeno il latifondo, come invece era avvenuto nelle colonie spagnole. Questo spiega perché in Nord America la democrazia si è imposta senza problemi, mentre in Sud America lo stesso ideale fa fatica ad imporsi ancora oggi. La cosa migliore da fare per aiutare tunisini,egiziani e libici a costruirsi regimi politici davvero liberi è quella di elaborare ed attuare una sorta di Piano Marshall che favorisca la nascita e la diffusione del ceto medio nei loro Paesi. Un’ultima considerazione: le popolazioni nordafricane hanno un’età media molto bassa, al contrario di quelle occidentali. Da questa parte del Mediterraneo facciamo pochi figli ed invecchiamo sempre più. Dall’altra, invece, possono guardare al futuro con ottimismo. Sono – beati loro! – popoli giovani. Se vinceranno la sfida della democrazia saremo noi, tra cinquant’anni, a guardarli con invidia.
Mauro Ammirati
mercoledì 23 marzo 2011
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