lunedì 5 settembre 2011

Senza riforme costituzionali saranno impossibili quelle economiche


         A causa di un’ondata speculativa che, a metà agosto, si è abbattuta su tutte le Borse occidentali, ma particolarmente sull’Italia (precisamente sui Bpt), il governo Berlusconi è stato costretto ad intervenire d’urgenza con una manovra economica – come si dice in questi casi – “correttiva”. La tempesta non è ancora passata, la speculazione non è mai stata imprevedibile come in questi ultimi tempi, difficile dire cosa accadrà nei prossimi giorni, certo è che se la Bce non avesse acquistato una gran quantità di Bpt italiani, dietro esplicita richiesta del nostro governo, avremmo rischiato la catastrofe. Si tratta, purtroppo, d’un tampone, il rischio non è stato del tutto scongiurato, il punto debole dell’Italia, come si sa, è il debito sovrano, siamo spaventosamente vulnerabili ed in futuro non potrà sempre soccorrerci la Bce. Questa la triste realtà, piaccia o no. Nel giro di poche settimane sono state elaborate e proposte tre manovre correttive e, purtroppo, non è detto che la terza sia davvero l’ultima. Diversi provvedimenti – come quello sul riscatto degli anni della leva e degli studi universitari – sono stati presi, annunciati e poi accantonati in meno di 48 ore, senza che neppure si sapesse chi li avesse inseriti nella manovra. Lo spettacolo, dispiace dover scriverlo, è stato scoraggiante. Ad un certo punto, si è avuta l’impressione che nel Consiglio dei Ministri prevalesse una gran confusione e che il governo non sapesse da che parte sbattere la testa. Onestamente, bisogna aggiungere che intervenire nell’emergenza non è mai facile, con l’ansia non si lavora bene, inoltre sono in affanno anche i governi di Stati Uniti, Francia e Germania (il 4% di crescita dell’economia tedesca, dei mesi scorsi, si è rivelato un fuoco di paglia). Ognuno ha i suoi guai, se questo ci può consolare. Ciò non toglie che quanto si è visto in Italia in queste ultime settimane è stato deprimente. Tra veti incrociati, impuntature e minacce di defezioni, il comportamento della la maggioranza di governo è stato tutt’altro che rassicurante. Andiamo subito al nocciolo della questione. Il debito pubblico in Italia è sempre stato e resta l’indice di qualità della classe politica. Per cinquant’anni, circa, la spesa  pubblica è cresciuta a dismisura perché i vari governi di coalizione, politicamente debolissimi, che si succedevano alla guida del Paese riuscivano a tenere insieme le maggioranze parlamentari che li sostenevano solo con una politica di deficit spending. La conflittualità interna dovuta all’eterogeneità delle coalizioni veniva neutralizzata sperperando denaro pubblico per fini elettorali, indebitando le future generazioni. Con l’adozione della moneta unica europea, avremmo dovuto mettere giudizio. Ma, anche qui, la debolezza politica degli esecutivi ha sempre impedito che il debito venisse ripianato. E siamo sempre punto ed a capo. Come andiamo sostenendo da molto tempo ormai (purtroppo, inascoltati), se non si cambia la forma di governo, cominciando dal sistema elettorale e poi mettendo mano alla Costituzione, governi che abbiano la forza di aggredire il debito non riusciremo mai a darceli. Chi oggi suggerisce a Berlusconi di imitare Reagan o la Thatcher dimentica che l’uno e l’altra guidavano esecutivi monopartitici. Ribadisco: non ci saranno riforme economiche se prima non si faranno quelle costituzionali. Ma questa, per dirla con la Scrittura, è «voce di uno che grida nel deserto.» Un’altra annotazione. Lo scontro, tutt’interno al centrodestra, sulle pensioni ha manifestato chiaramente quel che almeno i più avveduti avevano capito già da molto tempo. E che, cioè, è difficile perseguire l’interesse generale, da intendersi come quello nazionale, governando con una forza politica il cui orizzonte non va oltre la Lombardia. Mentre si cercava di scongiurare la bancarotta dell’intero Paese, c’era chi alzava il dito medio all’inno di Mameli ed al tricolore e diceva ai suoi elettori di tenersi pronti: «Se crolla l’Italia c’è già la Padania.» E dovremmo sentirci in buone mani?

         Mauro Ammirati     

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