martedì 11 giugno 2013

Quando i dati vengono torturati

Al ballottaggio delle elezioni amministrative ha votato il 48,51% degli aventi diritto, al primo turno la percentuale era stata del 59,76%. A Roma il nuovo Sindaco è stato scelto dal 45% degli elettori. Il centrosinistra ha sbaragliato centrodestra e M5s dappertutto, in alcuni casi con un notevole divario, come nella capitale (circa 30 punti percentuali) o a Imperia (quasi 50 punti) o Ancona (circa 25 punti). Si aggiunga che il centrosinistra ha vinto anche a Treviso, uno dei capoluoghi dove la Lega Nord sembrava imbattibile. In apparenza, c’è poco da discutere: crolla il movimento di Beppe Grillo, che solo quattro mesi fa raccoglieva il 25% alle elezioni politiche; crollano il Pdl ed i suoi alleati, che, come si dice in gergo calcistico, «non sono mai entrati in partita». Ammesso che si possa parlare di vincitori quando più della metà degli elettori non vota, ha vinto il Pd, che qualche settimana fa dava l’impressione di essere una forza politica allo sbando ed a rischio scissione. Ma in certi casi è bene ricordarsi quel che dice un fisico americano: «Prendete i dati e torturateli. Prima o poi confesseranno.» O come ammonisce un noto giornalista sportivo: «Esistono le bugie, le grandi bugie e le statistiche.» Occhio ad una lettura superficiale delle cifre. Queste ci dicono che il centrosinistra scoppia di salute, il Pdl è praticamente un rottame ed il M5s qualcosa di simile ad un temporale estivo. È davvero così? Certo che no. Se più della metà dei cittadini ricusa di esercitare il diritto di voto significa che la crisi della politica è ormai irreversibile. «Questa è la vostra ultima occasione», ha dichiarato solennemente Giorgio Napolitano davanti all’intero Parlamento, durante il discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica, all’inizio del suo secondo mandato. I rappresentanti della nazione, come li definisce la Costituzione, non ne sono pienamente consapevoli, visto che non hanno ancora trovato uno straccio d’accordo su una questione importante come la legge elettorale. In certe analisi, poi, fondamentali sono i termini di confronto. Sono sempre stato dell’idea che accostare i risultati del voto amministrativo e di quello politico sia, metodologicamente, un’operazione, almeno, discutibile, per non dire imprudente. Nel primo caso, si sa, incidono fattori locali, a cominciare dal giudizio sull’operato della Giunta comunale uscente e questioni che nelle singole comunità spaccano in due l’opinione pubblica, come l’isola pedonale, la filovia, l’inceneritore... Aggiungete che, da vent’anni a questa parte, il Sindaco in Italia è eletto direttamente dal popolo, dunque le qualità personali dei singoli candidati possono decidere una competizione. Per raccogliere consenso alle elezioni politiche possono bastare pochi messaggi, ma forti, si pensi alla campagna elettorale di Beppe Grillo ed ai suoi slogan nello scorso inverno: «Mandiamoli tutti a casa», «Facciamo un referendum sull’euro», «Restituiremo tre quarti dell’indennità di parlamentare»… Berlusconi, nella stessa campagna elettorale, promise non solo di abrogare l’imposta comunale sugli immobili, ma anche di restituire quella già pagata. Proposte semplici, ma che fanno breccia  nell’elettorato e che denotano un certo talento nella difficile arte della comunicazione (non a caso, stiamo parlando d’un comico, cioè un uomo di spettacolo e del principale editore televisivo privato italiano). Nel voto amministrativo, invece, è importante principalmente il radicamento territoriale ed il Pd è l’unico forza politica in Italia, relativamente, strutturata. Riesce ancora a mobilitare qualche milione di elettori quando organizza elezioni primarie, mantiene un forte legame con il sindacato e, proprio grazie al radicamento, nelle varie città riesce sempre a trovare il ricambio. Il M5s ha un’origine recente e la formazione d’una classe dirigente in ogni regione e provincia è un processo che esige tempi lunghi. Quanto al Pdl, sono proprio i suoi dirigenti a dire che senza Berlusconi il loro partito non esisterebbe. Quindi, è già un mezzo miracolo se i candidati di centrodestra accedano ai ballottaggi. Forse, se il Pdl cominciasse a pensare ad un futuro senza Berlusconi (perché nessuno è eterno), quindi a formare una nuova generazione di dirigenti, farebbe un grande favore a se stesso ed alla democrazia italiana.

         Mauro Ammirati     

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