venerdì 14 febbraio 2014

Convegno a Scafa sulla ME-MMT. Le origini della crisi


 
Si può comprendere lo stupore d’una persona a cui per la prima volta venga spiegata cos’è la ME-MMT. Inevitabilmente, la reazione di chi ascolta è sempre la stessa:  spalanca gli occhi e chiede: ma allora perché tutti i giorni politici, giornalisti e studiosi ci dicono che il debito pubblico è un grande problema? È accaduto anche a Scafa, sabato 18 gennaio, nella Sala polivalente. Increduli i presenti – invero, molto pochi – interrompevano ripetutamente il relatore, per avere chiarimenti e girando sempre intorno al solito punto: davvero volete farci credere che il debito pubblico non sia quella zavorra di cui tutti parlano? Si trattava d’un incontro, aperto al pubblico, tra ME-MMT Abruzzo e, come si leggeva nella locandina dell’evento, attivisti del M5s. “Il disastro dell’eurozona e come uscirne”, questo l’argomento di cui discutere. La ME-MMT (Mosler Economics - Modern Money theory, Teoria della moneta moderna), spiega uno dei due relatori Riccardo Tomassetti, «viene divulgata nel mondo dal 1993 da Warren Mosler, l’economista americano che l’ha elaborata, ma, in realtà, ha più di cento anni di storia, dato che le sue radici sono nel pensiero di grandi economisti del secolo scorso, come John Maynard Keynes, Abba Lerner e Friedrich Knapp.» Per capire la Mosler economics è fondamentale avere chiaro in mente in cosa consista la distinzione tra Paesi dell’eurozona (quelli che, come l’Italia e la Francia, hanno adottato l’euro come valuta comune) ed i cosiddetti Paesi a moneta sovrana (come Stati Uniti e Giappone, che hanno una propria moneta). «In un Paese a moneta sovrana», dice Tomassetti, «lo Stato crea moneta dal nulla, si chiama “moneta fiat”, fornendo titoli di Stato, cioè obbligazioni, alla Banca centrale, in cambio di liquidità. Così, il governo americano cede i suoi titoli alla Fed e quello giapponese alla Bank of Japan. La banca centrale entra in possesso di questi titoli ed accredita la somma equivalente al conto corrente che il governo ha presso di essa. Il governo prende questo denaro e lo utilizza per costruire scuole, ospedali e quanto occorre alla collettività. Ma, dal momento che il governo può emettere dal nulla tutti i titoli di Stato che vuole e fare così all’infinito, il debito si rivela un falso debito. Praticamente, lo Stato si indebita con se stesso.» Per dirla in termini ancora più semplici: lo Stato può stampare tutta la moneta che gli occorre. Questo fa capire, dice Tomassetti, che lo Stato stesso «non ha bisogno neanche delle tasse per finanziare la spesa pubblica. Potendo stampare moneta, il governo non ha necessità di tassare i cittadini e non può neanche dichiarare default (cioè, bancarotta, n.d.r.).» Lo scopo delle tasse, in realtà, è un altro: «Tasse ed imposte servono a creare domanda di moneta. Dovendo pagare le tasse in dollari, il cittadino americano ha bisogno di procurarsi i dollari, cioè la moneta emessa dal suo Stato. È questo a dare valore alla moneta. Contrariamente a quanto comunemente si crede, il valore della moneta non è dovuto all’oro né ad altro metallo. Per pagare le tasse in Italia devi avere gli euro, per pagarle in Giappone gli yen… indipendente dal rapporto di queste monete con l’oro. La convertibilità della banconota in oro non è più possibile dal 15 agosto 1971.» Se questo avviene in un Paese a moneta sovrana, nell’eurozona, dunque in Italia, è tutto un altro discorso: «L’euro non è la moneta d’uno Stato, ma della Banca centrale europea che presta denaro, non agli Stati, ma al mercato dei capitali, cioè principalmente alle banche, attualmente al tasso d’interesse dello 0,25%. Per avere denaro, i governi dell’eurozona devono rivolgersi alle banche, contraendo un vero debito ad un tasso stabilito dal mercato. Questo meccanismo è all’origine della catastrofe europea.» Infatti, «nei Paesi a moneta sovrana, lo Stato potendo stampare moneta, prima spende, poi tassa. Nei Paesi dell’euro, invece, lo Stato, non potendo stampare moneta, deve prenderla a prestito dalle banche e procurarsela con le tasse. Quindi, nell’eurozona, lo Stato prima tassa, poi spende.» L’altro relatore, Gianluca Gandini, accompagnato dal Presidente della ME-MMT Abruzzo, Alessio Scalzini, ha spiegato che in un Paese a moneta sovrana «compito dello Stato è quello di creare moneta dal nulla per il raggiungimento della piena occupazione e per garantire i servizi pubblici essenziali. La ME-MMT propone il PLG (Programma di lavoro garantito, n.d.r.), con il quale lo Stato assume, provvisoriamente, disoccupati per impiegarli in settori dove non c’è concorrenza con il privato, come l’assistenza agli anziani ed ai disabili, la ricerca scientifica, la tutela dell’ambiente ed altri ancora.»

Mauro Ammirati   

lunedì 3 febbraio 2014

Vent'anni dopo


         Il contesto è completamente diverso, ma la sensazione è la stessa e, in buona parte, anche la diagnosi. L’impressione è chi si sia tornati al biennio 1992-1993, quello del ciclone di Tangentopoli e, nonostante da allora l’Italia sia molto cambiata (in peggio, verrebbe da aggiungere), una riflessione su quanto accade ai giorni nostri induce a pensare che non si tratti solo di un’impressione. Come già accennato, viviamo sotto un altro cielo rispetto a vent’anni fa, in quel periodo l’Italia si liberava della Guerra fredda che, sin dal 1945, aveva avuto un’influenza di primaria importanza sugli equilibri politici interni; i partiti storici, popolari, di massa e strutturati si liquefacevano sotto i colpi letali delle inchieste giudiziarie (Dc e Psi) o subivano una mutazione genetica a causa del crollo del bipolarismo mondiale (Pci). Nascevano nuove forze politiche la cui avanzata, in termini elettorali, era in apparenza inarrestabile (Lega Nord, An e Forza Italia). Con un referendum, gli italiani scelsero di darsi nuove regole che (si presumeva) assicurassero maggiore governabilità, possibilmente governi di legislatura, come accade ordinariamente nelle grandi democrazie e che, invece, da noi era accaduto eccezionalmente. Dunque, avevamo nuove forze politiche e cercavamo anche di costruire un nuovo sistema politico. Sembrava un mutamento incoraggiante (del senno di poi sono piene le fosse, facile dire oggi che fu solo un’illusione). Infine, l’Italia usciva dallo Sme ed entrava in un periodo di crescita economica (grazie ai cambi flessibili). Cosa avviene in queste primi mesi del 2014? Due leaders, Renzi e Berlusconi, concludono un accordo (ancora da perfezionare, pare) su una riforma elettorale, per salvare il bipolarismo, che scricchiola a causa della crescita di consensi d’un outsider, il M5s; le inchieste giudiziarie ed i processi falcidiano giunte regionali (i cui poteri, con la riforma del Titolo V della Costituzione, si sono notevolmente accresciuti) e trascinano ai minimi storici la credibilità della classe politica; lo stato dell’economia è disastroso, le prospettive non sono affatto incoraggianti. Abbiamo semplificato fino alla brutalità, ma disponiamo di quanto basta per rispondere alla domanda: cosa ha in comune  con Tangentopoli la situazione attuale e in cosa differisce? Direi che oggi come allora, i leaders commettono l’errore di pensare che si possa salvare un sistema agonizzante semplicemente imponendo delle regole elettorali. Craxi, Andreotti e Forlani fecero di tutto per preservare il sistema elettorale proporzionale, su cui si reggeva il sistema di alleanze nazionali e locali. L’introduzione dell’elezione diretta delle giunte provinciali e comunali ed un sistema elettorale prevalentemente maggioritario per Camera e Senato spazzarono via la resistenza di socialisti e democristiani. Berlusconi e Renzi, oggi, disegnano l’Italicum, ricalcato sulla legge Calderoli, dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Anche questa convergenza sembra dettata più dalla disperazione e dalla volontà di salvare il salvabile, che da un autentico spirito riformatore. Ripetiamolo ancora una volta: l’ingegneria elettorale è importante e può aiutare a risolvere tanti problemi, ma non può fare miracoli. Se i partiti stipulano alleanze e si separano dopo le elezioni, se i parlamentari passano da un gruppo all’altro, il problema non è costituito dalle regole, ma dagli uomini e, soprattutto, dai leaders. Un altro elemento in comune con la situazione di vent’anni fa è la pressione di fattori internazionali. Nel 1992, un’intera classe dirigente si rivelò incapace di capire cosa rappresentasse il crollo del Muro di Berlino. Lo capì quando era troppo tardi. Oggi, la classe politica italiana ignora (o finge di ignorare) cosa sta accadendo nell’economia mondiale e negli altri Paesi dell’Unione europea. Più precisamente, autorevoli economisti parlano di rischio break-up dell’euro, in Francia i sondaggi danno il primato dei consensi al Front National, di Marine Le Pen, il cui programma, al primo punto, stabilisce il ritorno alla sovranità monetaria ed al franco. La fine della moneta unica europea potrebbe essere per questa classe politica ciò che il crollo del Muro di Berlino fu per democristiani, socialisti e comunisti vent’anni fa.

         Mauro Ammirati