Mauro Ammirati
venerdì 17 aprile 2015
Due diversi vincoli esterni
Dovessimo compendiare in poche parole la situazione politica
italiana di questi ultimi mesi, potremmo, semplicemente, scrivere: non si
riesce a tenere uniti i partiti, figuriamoci le coalizioni. Non c’è forza
politica, di questi tempi, che non abbia subito o che non sia a rischio di
subire una scissione: nel Pd, il rapporto tra la componente di sinistra ed i
cosiddetti renziani si è guastato da un pezzo, sono mesi che vivono da separati
in casa ed è difficile prevedere fino a quando sarà possibile una coabitazione
così litigiosa; dopo quella che diede vita al Ncd, Forza Italia potrebbe
perdere un’altra componente, questa volta guidata da Raffaele Fitto, sempre più
in rotta di collisione con Berlusconi; Flavio Tosi e la sua corrente hanno
lasciato la Lega Nord e lo stesso Tosi si presenterà come candidato alla
Presidenza della Regione Veneto contro il candidato del suo ex partito, Luca
Zaia; la forza politica che doveva rappresentare il rinnovamento, il M5S,
dall’inizio della legislatura parlamentare, ha perso per strada una buona parte
dei suoi deputati e senatori; probabilmente, dimentico qualche altro fatto
marginale, ma quanto appena ricordato dovrebbe bastare per capire che siamo
tornati al multipolarismo che caratterizzava l’Italia prima del 1992, l’anno in
cui i partiti storici crollarono o furono soggetti ad una mutazione genetica.
Quel sistema era definito dai politologi «pluralismo polarizzato», ma viene
ricordato con il nome di «consociativismo», che in realtà è un’altra cosa (il
termine non era appropriato al nostro Paese, ma soprassediamo). Le elezioni
politiche del maggio 1994 furono l’atto di nascita d’un nuovo sistema politico,
fondato su due grandi coalizioni in competizione per contendersi il governo del
Paese. Si pensava che l’Italia avesse ormai voltato pagina, che i piccoli
partiti avrebbero avuto sempre meno spazio, che l’antagonismo tra le due grandi
alleanze di centrodestra e centrosinistra avrebbe caratterizzato la nostra
politica per il mezzo secolo successivo. È saltato tutto per aria. Oggi, le
elezioni del 1994 sembrano appartenere all’era giurassica. Ciò che è importante
capire è che la situazione attuale rispetto a quella antecedente il 1992 presenta
un multipolarismo di tipo diverso. Contrariamente a trent’anni fa, infatti, non
ci sono più il comunismo e, per reazione, l’anticomunismo a tenere, in qualche
modo, unite le coalizioni. In quel mondo le ideologie erano un potente
collante, al punto che un partito diviso in tante correnti come la Dc governò
ininterrottamente mezzo secolo, quasi sempre con gli stessi alleati. Oggi, per
garantire la tenuta di un’alleanza, si cerca di surrogare le ideologie con
sistemi elettorali manipolativi, cioè attraverso congegni come il premio di
maggioranza, l’elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Regione… Ma,
come abbiamo spiegato, più volte, l’ingegneria elettorale non può fare miracoli,
può arginare lo sfaldamento del quadro politico, ma solo temporaneamente. È un
tampone, non una cura. Un’altra differenza fondamentale rispetto all’altro
sistema bipolare è la presenza oggi d’un vincolo esterno diverso da quello cui
eravamo soggetti allora. A quei tempi il vincolo esterno era, come già detto,
il comunismo, non potevamo cioè cambiare coalizione di governo senza correre il
rischio di uscire dall’Alleanza atlantica e diventare un Paese filosovietico.
Oggi il vincolo esterno è l’Unione europea, le cui regole hanno notevolmente
diminuito le risorse a nostra disposizione. L’Italia ha ceduto la sovranità
monetaria alla Bce, quella fiscale ed economica alla Commissione europea. Così
che la politica italiana è ridotta ad agire in uno spazio angusto e con scarsi
mezzi. Il che poteva e può solo accrescere la conflittualità nel Paese, tra i
partiti e nei partiti. E a fronte di simili problemi, non c’è riforma
elettorale o costituzionale che tenga.
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