mercoledì 30 agosto 2017

Se la politica non crede in se stessa

         In tempi di globalizzazione e di (conseguente) primato dell’economia, inevitabilmente, la partecipazione alla politica diminuisce. Le elezioni legislative francesi di poco tempo fa sono state solo l’ultima dimostrazione (o campanello d’allarme) che va sempre allargandosi il solco tra governati e governanti o, come suol dirsi in Italia, tra Paese reale» e «Paese legale». I partiti, vecchi e nuovi, cercano di mobilitare gli elettori inventandosi pericoli inesistenti come il fascismo risorgente ed il comunismo alle porte, provando a creare uno stato di guerra o una sindrome d’assedio, bastante a scuotere i cittadini dall’indolenza o dal sopore. Ma certi slogan non fanno più presa, ricordano i bunker che Henver Hoxha faceva costruire, ancora negli anni ’80, sulle spiagge albanesi, dicendo che gli italiani avrebbero potuto attaccare da un momento all’altro. La verità è dura da mandare giù, ma estremamente semplice: gli elettori hanno capito che la politica è – per sua scelta – impotente a risolvere i principali problemi, lo Stato, dappertutto, lascia fare ai mercati, all’economia finanziaria. Le più importanti decisioni, nei Paesi comunitari, non vengono prese dai governi nazionali, ma dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo. Inoltre, i Paesi membri di Eurozona devono attenersi ai cosiddetti parametri su debito e deficit, quindi hanno una libertà di manovra molto stretta, non possono fare la politica monetaria e fiscale che la situazione socioeconomica richiede. Anche fuori dall’Ue, i governi perseguono innanzitutto la competitività internazionale, il che significa dare garanzie d’affidabilità, di solvibilità, di stabilità, in pratica, basso debito, basso deficit e basse (o inesistenti) imposte per attrarre investimenti stranieri. In alcuni casi di più, in altri di meno, ma la politica si è legata le mani, procede con il pilota automatico, la finanza internazionale indica la rotta ed i governi la seguono. Volete meravigliarvi che i cittadini snobbino le elezioni, che in altri tempi erano – giustamente – considerate il momento più importante della vita democratica d’una nazione? Tra qualche mese si andrà ad eleggere il Parlamento italiano ed i partiti farebbero meglio a temere la diserzione degli aventi diritto al voto, più che un esito sfavorevole, ma sembra non vogliano darsene per inteso. La situazione è desolante. Le ultime elezioni amministrative, cui partecipò solo il 58% dei cittadini chiamati alle urne, hanno rimesso in gioco il centrodestra, che un anno fa sembrava già spacciato. Berlusconi continua a ripetere pari pari ciò che diceva nel 1994: tagli alla spesa pubblica e diminuzione della pressione fiscale. Un programma che, in tre volte che è stato al governo, non ha mai saputo e potuto attuare, perché tagliare la spesa pubblica non è proprio cosa da niente ed in Eurozona non si può diminuire le imposte se prima – appunto - non tagli la spesa pubblica. Occorrerebbe rilanciare consumi ed investimenti, ma, anche qui, in Eurozona non è possibile, a causa dei parametri comunitari, in più abbiamo inserito il pareggio di bilancio in Costituzione. Berlusconi ha proposto di introdurre una doppia moneta, come le Am-lire dell’ultimo dopoguerra, ma i trattati comunitari vietano che si faccia una cosa del genere. Forza Italia è un pilastro del centrodestra, sarebbe meglio che la coalizione facesse chiarezza su questi punti, altrimenti, nella migliore delle ipotesi, è destinata alla quarta esperienza fallimentare di governo. Il centrosinistra, negli ultimi anni, ha investito tutto sull’Ue, sull’euro e, più in generale, sulla globalizzazione, perciò non può tornare indietro senza perdere la faccia. Rappresenta la continuità, la difesa del presente, certamente non la volontà di rimettere tutto in discussione. Il M5S, sulle questioni più importanti, ha cambiato troppe volte posizione: eurobond, euro a due velocità, referendum sull’euro, ora la moneta fiscale, domani chi lo sa… È un quadro scoraggiante. La politica si è disabituata a governare, a pensare in grande, a progettare, a costruire il futuro. Ed ora ha una maledetta paura a riprendere in mano la situazione. E se i politici non credono più in se stessi, perché gli elettori dovrebbero credere nei politici?

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