mercoledì 19 marzo 2008

Eppure è possibile

A dispetto delle smentite ufficiali, l’ipotesi che nella prossima legislatura della Repubblica italiana si formi un governo di larghe intese è meno inverosimile di quanto si creda. Almeno le potenziali condizioni ci sono. Per cominciare, non è affatto da escludere che il voto popolare determini una maggioranza al Senato diversa da quella della Camera, essendo diversi anche i sistemi elettorali per i due rami del Parlamento. Per l’elezione del Senato, infatti, il premio di maggioranza è assegnato su base regionale, pertanto non è solo importante quanti voti complessivamente uno schieramento riuscirà ad ottenere, ma anche la loro distribuzione geografica. Può accadere che un partito prenda meno suffragi dell’avversario, ma abbia più seggi senatoriali. Può altresì accadere, come nel 2006, che la differenza tra vincitore e sconfitto sia di pochi senatori, cioè che, in sostanza, la competizione finisca in pareggio. Ma, ammesso – e non concesso – che il futuro Parlamento abbia la medesima maggioranza in ambedue le Camere, restano da fare valutazioni di opportunità. Solo qualche sera fa, parlando dagli studi di un’emittente nazionale, l’autorevole politologo italiano Giovanni Sartori spiegava che un governo di larghe intese o di grande coalizione o comunque lo si voglia chiamare, non era da considerare affatto un’insulsaggine. Né il Pdl né il Pd, argomentava il professor Sartori, hanno abbastanza coraggio per fare le riforme economico-sociali di cui l’Italia ha disperamene bisogno, nessuno dei due principali partiti italiani è disposto a pagare il prezzo – in termini elettorali – d’una politica impopolare. Quindi, concludeva lo studioso fiorentino, un governo che veda insieme Berlusconi e Veltroni è l’unica garanzia che, attuando le riforme, ambedue perdano consensi e, in tal modo, nessuno dei due ci guadagna. Il ragionamento non fa una piega. A rafforzare la tesi in questione è la situazione internazionale. Qualche giorno fa, il Premio Nobel per l’Economia Paul Samuelson ha detto senza mezzi termini che l’economia americana è ormai a rischio di stagflazione, proponendo una politica non troppo dissimile dal New Deal roosveltiano: «Occorre un maggiore intervento dello Stato», chiariva a scanso di equivoci il Premio Nobel. Negli stessi giorni, Giulio Tremonti, il ministro dell’Economia in pectore del futuro governo italiano, spiegava che, a suo parere, la crisi economica internazionale attuale è talmente grave da esigere – nientemeno – che una nuova Bretton Woods, come nell’ultimo dopoguerra. Gli accostamenti alla crisi del 1929 ed al secondo conflitto mondiale la dicono lunga sulle difficoltà del momento. Si aggiunga che l’attuale direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, ha dichiarato che per l’anno in corso le stime sulla crescita sono state riviste al ribasso fino all’1% e che per il debito di alcune società in crisi forse si dovrà pensare alla «nazionalizzazione» - un termine che credevamo, ormai, sparito dal vocabolario della politica. Come Tremonti, anche Strauss-Kahn sentenzia: «La crisi è globale e soluzioni devono essere globali». Lo spettro della recessione aleggia sulle due sponde dell’Atlantico, terrorizza tutti i governi del mondo occidentale e, che lo si dica esplicitamente o no, si pensa a rimedi di stampo dirigistico. Verrebbe da commentare: il liberismo, questo sconosciuto. Orbene, se questo è il quadro, la teoria di Sartori ha solide fondamenta. È difficile immaginare un governo del Pdl o del Pd che faccia una politica d’aggressione del debito pubblico, che affronti da solo una crisi economica che gli esperti ritengono globale e tra le più gravi degli ultimi decenni. Non è un caso che sia Berlusconi che Veltroni hanno voluto che questa campagna elettorale avvenisse nel segno della sobrietà, guardandosi bene dal suscitare o alimentare aspettative destinate ad andare deluse. Non è più tempo di promettere miracoli. Non ci crederebbe più nessuno.
Mauro Ammirati

1 commento:

Divenanzio ha detto...

Caro Mauro complimenti per il tuo nuovo blog. Come al solito le tue analisi socio-economiche-politiche sono molto interessanti e, spesso, sono piu' stimolanti di tanti editoriali dei vari Mieli, Scalfari ecc. Veniamo al punto: la grande coalizione. Ebbene questo è uno scenario possibile per i motivi che tu hai messo in evidenza. Ti dico la verità, per me non è uno scenario entusiasmante perchè l'Italia è una democrazia giovane che non ha avuto ancora la fortuna di essere governata con fermezza e determinazione da un unico partito. D'altronde forme bipartisan di governo si sono sperimentate solo in Germania e sono state dettate da effettivi "pareggi" alle elezioni. Ma in germania hanno un sistema politico "maturo" con pochi grandi partiti che hanno potuto governare sempre senza grossi problemi. Adesso anche noi ci stiamo avviando verso una situazione con 5 o 6 partiti principali ma il cammino è lungo. Comunque questa campagna elettorale non mi piace. Anzi la cosa che piu' mi fa incavolare è che i candidati alla camera e al senato non sentono proprio il bisogno di fare campagna elettorale perchè hanno il posto assicurato. Questa legge elettorale, imposta dall'UDC nella precedente legislatura, fa schifo perchè annulla la partecipazione della cosiddetta "base" dei partiti. Forse sto divagando troppo... Comunque io sono un po' demotivato da questa politica che non sa innovare. Speriamo che nella prossima legislatura Berlusconi, Fini, Veltroni, D'alema si siedano ad un tavolo dicendosi:"Carissimi, fino ad oggi siamo stati qui tutti al governo o all'opposizione ma non abbiamo risolto i grandi problemi dell'Italia; adesso è giunto il momento per affrontare di petto tutte le situazioni critiche. Dobbiamo dimezzare il numero dei parlamentari, fare una legge elettorale bi-partitica, eliminare le Province, dimezzare il numero dei consiglieri regionali, eliminare le centinaia di enti pubblici inutili, dimezzare lo stipendio di deputati e dirigenti pubblici, privatizzare i servizi locali, privatizzare la rai, riformare in senso liberista la giustizia ecc.." Se deve servire a questo allora.. viva la grande coalizione!