martedì 8 luglio 2008

Il problema è: come?


Probabilmente, sono in tanti i cittadini comuni in Italia a chiedersi, in questi giorni, come sia possibile che governo e Parlamento si accalorino tanto (non bastassero i 38 gradi temperatura e l’alto tasso d’umidità) a discutere di giustizia ed intercettazioni telefoniche, quando l’inflazione è tornata oltre il 3,5%, i salari vanno perdendo ulteriormente potere d’acquisto ed i consumi sono in picchiata (compresi quelli di beni alimentari), al punto che gli esercizi commerciali ai primi di luglio ricorrono già ai saldi (!). In effetti, è quantomeno strano che il Presidente del Consiglio dei ministri consideri, di fatto, una priorità l’approvazione nelle due Camere del “lodo Alfano” (leggi: immunità giudiziaria per le prime quattro cariche dello Stato) e delle cosiddette norme “salvaprocessi” (leggi: precedenza ai processi per i reati più gravi e sospensione degli altri), mentre milioni di italiani sono arrivati (metaforicamente, beninteso) all’ultimo buco della cinghia. Bisogna conoscere la storia recente del nostro Paese per capire cos’abbia originato una simile situazione. Bisogna risalire al 1992, quando un manager milanese venne arrestato mentre buttava nel water sette milioni di lire, il prezzo d’una tangente estorta ad un imprenditore. Sette milioni di lire, pensate un po’, briciole rispetto alle cifre che i magistrati milanesi avrebbero scoperto, nel corso delle indagini, di lì a qualche mese. Già, perché il predetto arresto scatenò l’effetto domino passato alla storia come “Tangentopoli”. L’inchiesta “Mani pulite” falcidiò tutti i partiti i storici italiani (il P.s.i. festeggiava il centenario), tranne P.c.i. e M.s.i.-D.n., le sue ripercussioni sul quadro politico furono devastanti. Cominciò così la lunga transizione che ancora oggi non può dirsi conclusa, dato che le riforme istituzionali restano astrazioni e mancano partiti strutturati. Dunque, da Tangentopoli, da “Mani pulite” occorre partire, per capire i mali dell’Italia di oggi. Una buona parte di ex democristiani ed ex socialisti dopo il Big One giudiziario del biennio 1992-94 trovarono una nuova casa nel centrodestra, oggi Pdl. Costoro, a cominciare dal leader indiscusso, Silvio Berlusconi, sono convinti (molti lo dicono e lo scrivono esplicitamente) che le indagini della magistratura degli anni ’90 sulla corruzione in politica altro non furono che una sorta di complotto per portare la sinistra ex comunista al governo. Quella stessa sinistra, ormai, fuori gioco, dopo il crollo del Muro di Berlino. Un golpe giudiziario, quindi, sapientemente orchestrato ed attuato congiuntamente dall’allora Pds (ex P.c.i.) ed alcune correnti della magistratura. Questa, ripetiamolo, è la lettura dei fatti che viene data in molti ambienti del centrodestra. Molti nel Pdl sono altresì convinti che furono sempre le indagini della magistratura a spingere Bossi a fare il “ribaltone” sul finire del 1994. Persuaso che Berlusconi stesse per essere travolto dagli avvisi di garanzia e che, quindi, il governo avesse le settimane contate, il leader della Lega avrebbe preferito uscire dalla coalizione del centrodestra per salvare dal terremoto incombente almeno il suo partito. Oggi, riferiscono i giornali, Berlusconi andrebbe (il condizionale è d’obbligo) dicendo ai suoi più stretti collaboratori: «Non farò lo stesso errore del 1994». Di qui, la fermezza mostrata dal premier sul “lodo Alfano”. La pubblicazione, nei giorni scorsi, delle intercettazioni delle telefonate tra lui ed un alto dirigente della Rai, sarebbe per Berlusconi l’ennesima dimostrazione che una parte della magistratura lavora contro il suo governo. In conclusione: le polemiche che rendono ancora più infuocato questo mese di luglio sono la coda velenosa di “Mani pulite”. La questione giustizia, una volta per sempre, deve essere chiusa, se non si vuole che continui ad avvelenare la politica italiana per chissà quanti anni ancora. Lo sostengono tutti, a destra ed a sinistra. Il punto è: come?
Mauro Ammirati

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