Onore alla Spagna, ha meritato innegabilmente il titolo di Campione europeo, ha espresso il gioco più convincente, ha dimostrato di essere almeno una spanna al di sopra di tutti gli avversari. Complimenti ad Aragones, per il suo coraggio soprattutto, perché ce ne voleva e molto per lasciare a casa uno come Raul e presentarsi alla massima competizione calcistica continentale per nazioni con una squadra di ragazzini. Riconosciuti, con estrema franchezza, i meriti dei vincitori, è bene aggiungere che certe considerazioni sono inconfutabili se riferite al contesto attuale, ma un’analisi più approfondita ci costringe a dire cose sgradevoli. Per essere più precisi: la Spagna ha saputo, a tratti anche divertire, ma sostenere che il suo gioco abbia fatto impazzire forse è troppo. Provate a confrontare Torres e compagni con la Francia di Platini e l’Olanda di Van Basten - rispettivamente Campioni d’Europa nel 1984 e 1988 - e capirete subito che il calcio negli ultimi ventiquattro anni ha conosciuto un’involuzione qualitativa preoccupante. Si può affermare che la Spagna attuale è un’ottima squadra, ma nella consapevolezza che oggi quel che passa il convento non è granché. Se, come si dice, nella notte tutte le vacche sono grigie, non occorre molto per distinguersi. Bisognerebbe – lo dico da anni – riflettere sullo stato di salute del nostro football, le squadre che ai giorni nostri definiamo divertenti, trent’anni fa le avremmo forse definite noiose. All’indomani della finale degli Europei del 1996, vinti dalla Germania, un quotidiano italiano uscì con il titolo: “Il calcio è malato, curiamolo”. Oggi, il trionfo della rappresentativa iberica è stato commentato con titoli come: “Ha vinto il calcio”. Viene da pensare che la differenza tra il presente e dodici anni fa è che ci siamo talmente abituati ad un football mediocre che abbiamo dimenticato cos’è (e cos’è stato) davvero il bel calcio.
Un altro aspetto della situazione da prendere in considerazione ci riguarda da molto vicino. La Spagna ha vinto con tutti gli avversari che ha incontrato, tranne uno: l’Italia. Non solo. Se in semifinale le “furie rosse” hanno umiliato la Russia ed in finale hanno steso al tappeto la Germania molto prima del novantesimo, con i nostri non sono riusciti a segnare un solo gol in centoventi minuti. Aggiungiamo che le più grandi parate Casillas le ha fatte contro gli azzurri e che nello stesso incontro l’attacco spagnolo di certo non ha fatto soffrire particolarmente la nostra difesa. Qualcuno – e dubito che abbia torto - ora sostiene che la vera finale sia stata Spagna-Italia. E l’accoglienza riservata a Pirlo e compagni al loro rientro in Italia induce a ritenere che siano in molto ad essere del medesimo parere. Eppure, il signor Roberto Donadoni è stato messo cortesemente alla porta, manco gli azzurri fossero stati eliminati con una prestazione da far arrossire. Non è stata data una seconda possibilità al Ct dell’unica nazionale con cui i Campioni d’Europa abbiano davvero rischiato di perdere. Nulla da eccepire sulle qualità e le capacità di Marcello Lippi, al quale si deve solo gratitudine. Con lui ci auguriamo di tornare a vincere. Ma resta l’amarezza, per due ragioni. La prima è il trattamento riservato a Roberto Donadoni, un giovane tecnico su cui forse valeva la pena investire, lasciandogli portare a termine il suo lavoro. La seconda è che la scelta della Federazione è emblematica, riflette un’attitudine assai diffusa nel nostro Paese: nel calcio, come in tutti i settori (economia compresa), l’Italia è un Paese che non perdona nulla e concede poche opportunità ai giovani, preferendo aggrapparsi agli uomini del passato. Avere meno di sessant’anni nell’Italia di oggi è quasi una disgrazia.
Mauro Ammirati
Un altro aspetto della situazione da prendere in considerazione ci riguarda da molto vicino. La Spagna ha vinto con tutti gli avversari che ha incontrato, tranne uno: l’Italia. Non solo. Se in semifinale le “furie rosse” hanno umiliato la Russia ed in finale hanno steso al tappeto la Germania molto prima del novantesimo, con i nostri non sono riusciti a segnare un solo gol in centoventi minuti. Aggiungiamo che le più grandi parate Casillas le ha fatte contro gli azzurri e che nello stesso incontro l’attacco spagnolo di certo non ha fatto soffrire particolarmente la nostra difesa. Qualcuno – e dubito che abbia torto - ora sostiene che la vera finale sia stata Spagna-Italia. E l’accoglienza riservata a Pirlo e compagni al loro rientro in Italia induce a ritenere che siano in molto ad essere del medesimo parere. Eppure, il signor Roberto Donadoni è stato messo cortesemente alla porta, manco gli azzurri fossero stati eliminati con una prestazione da far arrossire. Non è stata data una seconda possibilità al Ct dell’unica nazionale con cui i Campioni d’Europa abbiano davvero rischiato di perdere. Nulla da eccepire sulle qualità e le capacità di Marcello Lippi, al quale si deve solo gratitudine. Con lui ci auguriamo di tornare a vincere. Ma resta l’amarezza, per due ragioni. La prima è il trattamento riservato a Roberto Donadoni, un giovane tecnico su cui forse valeva la pena investire, lasciandogli portare a termine il suo lavoro. La seconda è che la scelta della Federazione è emblematica, riflette un’attitudine assai diffusa nel nostro Paese: nel calcio, come in tutti i settori (economia compresa), l’Italia è un Paese che non perdona nulla e concede poche opportunità ai giovani, preferendo aggrapparsi agli uomini del passato. Avere meno di sessant’anni nell’Italia di oggi è quasi una disgrazia.
Mauro Ammirati
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