venerdì 14 marzo 2014

L'ultima carta


         Un’operazione improvvisa e spregiudicata come quella che ha rovesciato il governo Letta ed insediato quello di Matteo Renzi può avvenire solo nel segno della paura. Un sentimento che è meno del panico, ma più del semplice timore. Paura che pervade le due grandi coalizioni nazionali ed è dovuta a fattori politici ed economici, interni ed internazionali. Paura che la situazione sfugga di mano a quelle forze politiche che hanno retto il Paese dal 1994 ad oggi e che, per buona parte degli italiani, sono i principali responsabili del momento drammatico che la nazione sta vivendo. Matteo Renzi è la carta della disperazione, è stato lui stesso ad affermarlo, implicitamente, in occasione della presentazione del suo governo alle Camere, facendo capire che il suo fallimento sarebbe la bancarotta di tutto il sistema politico. Ha ottenuto la fiducia del centrosinistra e dei centristi, non quella di Forza Italia, che però, in cambio d’un accordo concluso sul sistema elettorale, gli ha concesso un’apertura di credito, se preferite, la promessa di un’opposizione morbida. La domanda da porsi è: cos’è stato a forzare la mano ai partiti, cosa ha fatto precipitare la situazione così da indurre la Presidenza della Repubblica e la coalizione che sosteneva il governo Letta ad una manovra tanto azzardata, quanto insolita? Paura, come accennavamo, ma di cosa? A maggio si terranno le elezioni europee (per inciso, verrà eletto anche il Consiglio regionale nel nostro Abruzzo) ed il voto in questione potrebbe diventare una pietra sepolcrale sul sistema politico costruito sulle macerie di Tangentopoli. I sondaggi, lo scorso anno, poche settimane prima delle elezioni politiche, attribuivano al M5s il 17%. Prese il 25% (neanche le prime proiezioni post voto facevano pensare ad un simile successo). Oggi, i sondaggi danno allo stesso M5s il 24%. Dunque, non si può escludere che il movimento di Beppe Grillo superi il 30%. Parliamo d’una forza politica radicalmente avversa al centrosinistra ed al centrodestra, dichiaratamente euroscettica e sostenitrice della democrazia diretta integrale (in passato, Grillo ha proposto l’abrogazione del cosiddetto “divieto di mandato imperativo). Non basterà a Pd, Ncd e Fi confidare  nella ripresa economica, perché (ammesso che l’economia sia davvero in ripresa) non si concretizzerà in posti di lavoro nei prossimi mesi. Inoltre, quale che sia la congiuntura, i vincoli comunitari impongono all’Italia di continuare a praticare la politica dell’austerità ancora per molti anni. Infine, i fattori internazionali. Quando, nei primi anni ’90, la Lega nord cominciò a raccogliere una discreta messe di voti, il compianto Indro Montanelli scriveva: «Finché il separatismo lo fanno i siciliani è un conto. Ma se lo fanno i lombardi la situazione cambia.» Ora potremmo dire che finché, nella piccola Grecia, Alba dorata prende il 7% possiamo anche reagire con la semplice indignazione e poi fare spallucce. Ma se l’elettorato antieuropeista cresce in Francia, Olanda ed Austria, se in Italia avanza il M5s che chiede di abolire il Fiscal compact ed un referendum per la permanenza nella moneta unica, se la Gran Bretagna annuncia un referendum sulla sua permanenza nell’Unione europea, allora si capisce che la posta in palio è di portata storica ed il discorso cambia. In questo quadro, il rischio che corre la classe politica italiana è duplice: può venire travolta dal malcontento popolare in Italia o dal crollo dell’Europa comunitaria. Si consideri, infatti, che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni, tecnici, di centrosinistra e di centrodestra, hanno tagliato spesa pubblica e servizi sociali, liberalizzato e privatizzato in applicazione delle direttive di Bruxelles e Francoforte, provocando l’ondata di protesta che ora può riversarsi nelle urne elettorali. Il governo Letta era manifestamente inadeguato al compito di salvare una classe politica che sembra un’oligarchia assediata nella cittadella del potere, mentre fuori il mondo è già cambiato e comincia una nuova storia. Occorreva mandare un messaggio forte al Paese, dare almeno l’impressione che ci fosse ai vertici delle istituzioni un ricambio generazionale, che finalmente si stesse facendo sul serio. Soprattutto, occorreva fare in fretta. Perciò è stato chiamato il trentottenne Matteo Renzi. L’ultima carta da giocare. Quella della disperazione.

         Mauro Ammirati    

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