Il voto del 25 maggio non ha semplicemente modificato i
rapporti di forza tra i vari gruppi che compongono l’Europarlamento. Questo può dirsi d’ogni elezione. No, ha
fatto molto di più: ha cancellato un mondo ed una storia, dando inizio ad una
nuova epoca. Nell’assemblea che rappresenta i popoli dell’Europa comunitaria,
sia i partiti d’area socialista, che quelli che aderiscono al Ppe avranno meno
seggi rispetto alla legislatura precedente, mentre sale a circa 150 il numero
dei parlamentari cosiddetti euroscettici o antieuropeisti o anche sovranisti.
Mai accaduto prima un fatto del genere, un dato sconcertante per chi ha fede
nella causa dell’europeismo. Il Fn di Marine Le Pen, in Francia, ottiene il 25%
ed è, ora, la prima forza politica del Paese; dilaga l’Ukip in Gran Bretagna,
cresce il fronte antieuropeista anche in Ungheria, Danimarca, Austria ed
Olanda. Almeno due generazioni di studiosi di scienza della politica si sono
formati su testi universitari che parlavano d’un mondo, tutto sommato, semplice,
facile da capire. Nelle democrazie occidentali, leggevamo su questi libri, il
governo è conteso da socialdemocratici e conservatori, centrosinistra contro
centrodestra, gli uni chiedono una maggiore presenza dello Stato in economia e
più solidarietà sociale, gli altri più libertà economica, meno intralci
all’imprenditoria. Quale che fosse il sistema istituzionale (parlamentare o
presidenziale) ed il sistema elettorale, la dialettica democratica funzionava,
più o meno, dappertutto così. Nella bipartitica Gran Bretagna, come nelle
bipolari Francia e Germania. Poi c’erano Paesi, come le democrazia
scandinave, dove la situazione era un
po’ più confusa, ma le famiglie politiche principali erano le stesse che
primeggiavano altrove, si dicevano tutti o socialisti o moderati. Nel 1994
diventò bipolare anche l’Italia. Ebbene, quel mondo non c’è più, è finito, è
stato consegnato alla storia. Se oggi si votasse per le politiche in Francia,
socialisti e gollisti, i nemici di sempre, dovrebbero allearsi per sbarrare il
passo al Front National. I Tories in Inghilterra oggi sono il terzo partito, i
laburisti il secondo, il mondo sottosopra. Il punto è che pensavamo di aver
capito tutto di questa novità che chiamiamo “globalizzazione”, in realtà, non
abbiamo ancora imparato a conoscerla. «Il vero bipolarismo oggi non è più tra
sinistra e destra, ma tra mondialismo e nazionalismo», ha dichiarato Marine Le
Pen, che fa il pieno di voti nei collegi una volta di tradizione socialista e
dove ora ci sono le rovine di distretti industriali smantellati dalle
delocalizzazioni. Sì, è questo il nuovo bipolarismo: da una parte, chi vuole il
ritorno alle sovranità nazionali, quando è necessario anche a politiche
protezionistiche; dall’altro, chi vuole un mondo senza frontiere e mercati
senza dogane. Rigiratela come volete, usate pure un lessico diverso, ma la
sostanza non cambia. I mondialisti affermano che la globalizzazione è
irreversibile, perché ormai l’interdipendenza tra le varie economie è tale che
non si può tornare indietro. Il disoccupato cinquantaquattrenne, che è
considerato troppo anziano anche per essere riqualificato, non può fare altro
che lottare perché non sia consentito ad alcuna azienda di chiudere a Bordeaux
ed aprire uno stabilimento in Bangladesh (magari investendo capitali ottenuti
da una banca che poi nega il mutuo sulla prima casa alle giovani coppie). I
mondialisti accusano i sovranisti di xenofobia, fascismo e populismo. Ed è
questo, per i primi, il modo più sicuro per andare incontro a nuove
sconfitte.
Mauro Ammirati
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