martedì 13 gennaio 2015

Due sfide per l'Ue


         I recenti e tragici fatti avvenuti in Francia hanno riportato al centro del dibattito politico, in tutti i Paesi occidentali, l’emergenza terrorismo. Forse non è proprio corretto scrivere che l’Europa, come abbiamo letto e sentito, ha avuto il suo 11 settembre, se si pensa a ciò che avvenne a Madrid, alla stazione ferroviaria di Ochoa, nel 2004 o nella metropolitana di Londra, nel 2005. Ma un fatto è certo: il vecchio continente si scopre più vulnerabile di quanto immaginasse e, come accadde all’indomani dell’11 settembre americano, si torna a parlare di scontro di civiltà, del rapporto tra Occidente ed Islam e, soprattutto, d’immigrazione. Alla paura degli attentati si aggiunge quella della xenofobia, dell’ostilità crescente verso l’africano, l’asiatico e chiunque venga considerato estraneo alla nostra civiltà. Di qui, la preoccupazione dei principali governi europei che un sentimento diffuso d’avversione all’immigrato possa determinare un’avanzata elettorale di forze politiche reputate, dagli stessi governi, estremiste o populiste , comunque dichiaratamente e fermamente contrarie al processo d’integrazione europea, come la Lega Nord ed il Front National, che intanto hanno già chiesto a gran voce di tornare a controllare le frontiere. Le stragi di Parigi, i cui autori avevano il passaporto francese, hanno spinto, in un primo momento, i ministri dell’Interno di Spagna e Francia a porre la questione della modifica o della sospensione del Trattato di Schengen, che stabilisce il principio di libera circolazione dei cittadini comunitari entro i confini dell’Ue. Ipotesi che è stata respinta immediatamente dal governo italiano, per il quale l’adozione di simili misure sarebbe «un passo indietro» ed «un regalo ai populisti». Tanto può bastare per capire che la minaccia terroristica è una grave insidia alla tenuta della stessa Ue. Ma un’altra prova difficile attende le istituzioni comunitarie. Il prossimo 25 gennaio, in Grecia, si terranno le elezioni politiche. I sondaggi danno favorito Syriza, un partito di sinistra a favore della permanenza del Paese nel gruppo della moneta unica, ma contrario al proseguimento della politica d’austerità, imposta dalla cosiddetta Troika (Fmi, Bce e Commissione europea). Il punto centrale del programma di Syriza è la ristrutturazione del debito, vale a dire la sua rinegoziazione, una proposta che, comprensibilmente, desta una certa inquietudine nei creditori, tra i quali ci sono il Fondo di stabilità europeo, il Fmi, la Bce, l’Esm, banche tedesche, francesi ed italiane. Il leader del partito, Alexis Tsipras, ha più volte dichiarato che la sua volontà è quella di tenere la Grecia nell’eurozona (per inciso, come il 75% dei suoi connazionali), ma, in economia, la sola volontà non è sufficiente a conseguire un obiettivo. Ristrutturare un debito significa sedersi a tavolino con i creditori, trattare per chiedere la remissione d’una parte o una dilazione o chissà cos’altro e trovare un accordo. Tsipras chiede di rinegoziare il 70%, che, come è facile capire, non è proprio poca cosa. Nel caso che l’accordo non venisse trovato, alla Grecia resterebbe solo di tornare a stampare il dracma. Una situazione alla quale, sostengono molti economisti, l’euro non potrebbe sopravvivere.

         Mauro Ammirati

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