La prossima legislatura, tanto per cambiare, dovrà essere costituente. Come dovevano esserlo le ultime quattro-cinque. Chiunque vinca, quale che sia l’esito del voto il 14 aprile, il prossimo Parlamento dovrà fare le riforme istituzionali, dicono Pd e Pdl. Lo dicevano Craxi e De Mita negli anni ’80, negli anni ’90 D’Alema propose l’istituzione d’una commissione bicamerale - della quale gli fu poi affidata la presidenza - e che avesse il compito di riscrivere la seconda parte della Costituzione. Dopo aver tratteggiato una nuova repubblica semipresidenziale sul modello francese, la commissione naufragò ingloriosamente e senza farsi rimpiangere. Quelle poche revisioni della Carta che in tempi recenti sono state attuate, hanno ridisegnato la distribuzione dei poteri tra Stato e Regioni e la forma di governo all’interno di queste ultime. Provocando più confusione che altro, a dimostrazione che meglio non fare alcuna riforma che una pessima riforma. Nel 2006, in pieno campionato mondiale di calcio, gli italiani, in un referendum confermativo, respingono con una maggioranza schiacciante il progetto della devolution, approvato da ambedue le Camere e che definire un aborto è un eufemismo. Il fatto non suscitò molto clamore – non quanto solitamente ne suscita una pesante sconfitta in una consultazione di tale importanza - perché Marcello Lippi ed i suoi ragazzi erano già sulla strada che li avrebbe portati al trionfo di Berlino. Per farla breve, la questione delle riforme istituzionali in Italia è all’ordine del giorno “solo” da una trentina d’anni ed il confronto sulla materia ha portato risultati che vanno dal deprimente al disastroso.
Orbene, solo qualche giorno fa Veltroni ha dichiarato – e sembrava strano che nessuno avesse ancora rilasciato una simile dichiarazione – che la prossima legislatura, come già ricordato, dovrà essere costituente. Ma è ovvio, ma si capisce, ci mancherebbe altro, hanno risposto gli avversari. In Italia il consenso su questo argomento non si nega a nessuno. Stavolta, è vero, l’obiettivo non sembra irraggiungibile, perché 1) potremmo, per la prima volta nella storia della Repubblica, avere un Senato bipartitico ed alla Camera Pd e Pdl potrebbero avere abbastanza voti per fare le tanto auspicate riforme, senza che sia necessario il sostegno delle forze politiche ad una sola cifra percentuale; 2) inoltre, sulla riduzione del numero dei parlamentari, che sarebbe già un bel cominciare, la convergenza tra i due principali partiti italiani sembra certa; una volta messo in moto il meccanismo, potrebbe poi esserci una reazione a catena. Qualche volta succede.
Cos’è, invece, a renderci scettici (pur nella viva speranza di essere smentiti dai fatti)? Semplicemente l’esperienza. Troppe volte, in passato, abbiamo visto i nostri leaders preferire coltivare il proprio orticello che perseguire grandi disegni politici; troppe volte, nella storia del nostro Paese, abbiamo visto in politica prevalere il piccolo cabotaggio e le paure miserabili sulle grandi scelte che cambiano la storia d’una nazione. Vorremmo tanto fidarci. Potremmo solo perdendo la memoria. Di ciò che pensiamo abbiamo avuto una riprova solo qualche mese fa: «la legge elettorale va bene così com’è», disse Silvio Berlusconi, costringendo in tal modo il Presidente della Repubblica a sciogliere le Camere ed indire le elezioni, che forse anche stavolta saranno inutili. Sul serio: vorremmo tanto fidarci.
Mauro Ammirati
sabato 29 marzo 2008
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1 commento:
Questa legge elettorale non funziona e probabilmente creerà dei problemi anche a Silvio. Però non era semplice fare un governo tecnico e "fidarsi" della buona fede degli ex-comunisti, visto che in passato (vedi governi tecnici di Dini e pluri-ribaltoni dalemiani) non hanno dimostrato di essere affidabili; e poi, dopo una rovinosa caduta, perchè si doveva concedere ancora una chance a Prodi & C.? Comunque spero che nella prossima legislatura Silvio e Valter facciano una nuova legge in senso maggioritario (mi piaceva molto il modello "Vassallum")ma non sono favorevole alla reintroduzione delle preferenze perchè potrebbero farci tornare all'era del voto di scambio (sopratutto al sud). Meglio fare le primarie per la scelta di alcuni candidati, così come ha fatto il centrosinistra ad esempio in Puglia, dove, contro tutte le previsioni, ha prevalso il comunista Niki Vendola. Insisto su questo punto: la selezione dei candidati da inserire nelle liste elettorali. In qualsiasi ambiente di lavoro la selezione del personale ha un ruolo cruciale. Le grandi aziende spesso si affidano a dei consulenti per selezionare i candidati ad un certo ruolo professionale. Nelle aziende pubbliche si fanno (o si dovrebbero fare..) i concorsi. Nelle piccole attività imprenditoriali spesso si utlilzzano le conoscenze personali al fine di trovare la persona giusta e più affidabile. Forse anche per diventare suora o prete si deve affrontare una selezione. Invece, quale sarebbe l'attuale criterio in base al quale viene selezionata la classe dirigente politica dei nostri partiti? Attendo risposta. p.s.caro Mauro che ne pensi del pensiero politico di Antonio Serafini?
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