Si può condividere o meno il proposito, in buona parte già raggiunto, di Giuliano Ferrara di riportare la questione aborto al centro del dibattito politico. Ciò che invece non si può affatto condividere è la volontà di impedirgli di parlare, di portare a termine un comizio e costringerlo a scappare sotto scorta, nel mezzo di tafferugli e scontri tra polizia e dimostranti, per evitare il peggio. Al contrario di quanto hanno riportato gli organi di stampa, Giuliano Ferrara, a Bologna, non è stato «contestato»: è stato aggredito. È diverso, molto diverso, maledettamente diverso. Contestare significa confutare, opporre l’argomentazione contraria, provare a dimostrare la veridicità della propria tesi, invalidando, in tal modo, quella sostenuta dalla parte avversa. Il lancio di ortaggi ed uova a chi sostiene un’opinione contraria alla nostra, mettendolo a tacere con urla ed insulti e rendendo necessario l’intervento delle forze dell’ordine - che si sappia e si ricordi – non è una contestazione, bensì una vera e propria aggressione. Chi non è capace di fare una distinzione così semplice ed elementare, deve ancora apprendere i rudimenti della democrazia, cominciando dal quel principio secondo il quale non si può essere tolleranti sono con chi è del nostro parere. Ad ogni buon conto, è confortante sapere che a Ferrara sono giunte manifestazioni di solidarietà da quasi tutto il mondo politico, che uno dei primi a condannare l’accaduto è stato il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, che parole d’indignazione sono state pronunciate da Fausto Bertinotti, candidato alla carica di premier de “la Sinistra l’Arcobaleno”, probabilmente lo schieramento più determinato a difendere il diritto di scelta delle donne in materia d’interruzione volontaria della gravidanza. Resta comunque l’amarezza, suscitata da quelle immagini televisive che riprendevano gli agenti in tessuta antisommossa mentre allontanavano un candidato alle elezioni per il Parlamento della Repubblica che aveva appena dovuto interrompere il suo comizio, onde evitare che la situazione degenerasse ulteriormente. Saremo ingenui, ma con estrema franchezza, non era proprio questa l’Italia del ventunesimo che avevamo sognato da ragazzi.
Già che stiamo parlando di Ferrara, aggiungiamo un’altra considerazione. Forse ha ragione chi afferma che i consensi alla lista pro life non oltrepasseranno lo sbarramento elettorale stabilito per accedere alla Camera dei Deputati e che, pertanto, una questione estremamente seria come l’aborto verrà rinchiusa nel recinto d’un orticello del 2%, talché, dopo il 14 aprile, molti potranno affermare che i pro choice in Italia sono il 98%. Se andrà così, alla fine, Ferrara avrà fatto più male che altro alla causa della tutela del nascituro. Anche per tale ragione, prudentemente (e forse pure saggiamente) la gerarchia cattolica aveva manifestato perplessità riguardo alla formazione d’una lista antiabortista sin da quando questa era solo un’ipotesi. Ma bisognerebbe soffermarsi a riflettere sul fatto che a riaprire il dibattito non sulla legge 194, ma sulla liceità dell’interruzione della gravidanza e sulle cosiddette questioni etiche siano state personalità estranee al mondo cattolico come Marcello Pera, lo stesso Giuliano Ferrara ed Eugenia Roccella, la figlia d’uno dei fondatori del partito radicale, la quale afferma: «Oggi, se papà fosse vivo starebbe con me.»
Mauro Ammirati
venerdì 4 aprile 2008
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