martedì 29 aprile 2008
L'Italia, quindici anni dopo
All’indomani del 14 aprile scrivemmo che la vittoria del Pdl alle elezioni politiche non era da ritenersi una sorpresa. Non altrettanto possiamo affermare riguardo all’elezione di Gianni Alemanno a Sindaco di Roma. Non desta clamore solo l’esito della competizione, ma anche quel 7% circa di consensi che separa il vincitore dallo sconfitto. Un fatto inimmaginabile fino a quarantotto ore fa. Dopo quindici anni di ininterrotto governo di centrosinistra, cioè da quando in Italia è stata introdotta l’elezione diretta del Sindaco, la Capitale passa nelle mani del centrodestra. Quanto è accaduto ieri nella Città eterna suscita una riflessione che può aiutarci a conoscere meglio il Paese in cui viviamo o, per meglio dire, i cambiamenti che lo hanno attraversato negli ultimi tre lustri. Infatti, proprio a Roma, nel 1993 per la prima volta uscì allo scoperto quello schieramento che nei quindici anni successivi avrebbe preso denominazioni diverse: Polo delle Libertà, poi Casa delle Libertà, quindi Popolo delle Libertà. Gianfranco Fini era ancora segretario dell’allora M.s.i.-D.n., il partito della nostalgia, dei reduci di Salò, delle camicie nere, dei saluti romani e dei neofascisti che gridavano «eia, aia, alalà». Una forza politica i cui consensi erano sempre oscillati sul 5% e nei primi anni novanta sembrava sulla strada del declino. Il suo giovane leader – aveva poco più di quarant’anni – nel 1993 tentò il tutto per tutto e presentò la propria candidatura alla carica di Sindaco di Roma. Operazione rischiosissima, ma a dispetto delle previsioni, Fini riuscì ad accedere al ballottaggio, raccogliendo consensi a piene mani nell’elettorato dei partiti moderati italiani che andavano sgretolandosi sotto i colpi delle inchieste giudiziarie sulla corruzione. Il centrosinistra aveva un solo modo per fermare Fini: la pregiudiziale ideologica, l’antifascismo. Il segretario del M.s.i., ripeteva incessantemente la macchina della propaganda avversaria, non può diventare Sindaco di Roma. Seppur di poco, Rutelli, candidato della sinistra, vinse le elezioni. Sono passati quindici anni da allora, ma negli ultimi giorni che hanno preceduto il ballottaggio tra Alemanno e, di nuovo, Rutelli, il centrosinistra ha provato di nuovo a giocare la carta dell’antifascismo, facendo leva, soprattutto, sul fatto che la Destra di Storace aveva invitato i suoi simpatizzanti a votare Alemanno e sebbene quest’ultimo avesse respinto la possibilità dell’apparentamento con la Destra medesima. Ma stavolta al centrosinistra è andata male, la pregiudiziale ideologica non ha impedito che il risultato del primo turno venisse ribaltato. Roma non è la stessa del 1993, neanche l’Italia è la stessa di quindici anni fa. In molti fanno ancora fatica a comprendere questo Paese, il che spiega la disfatta della Sinistra l’Arcobaleno alle ultime politiche, l’avanzata della Lega e, in ultimo, la vittoria di Alemanno. Quella di oggi è un’Italia più pragmatica, consapevole che la nostra democrazia non corre rischi, che i veri problemi sono altri, che chiede sicurezza, repressione del crimine, certezza del diritto, efficienza delle istituzioni politiche e sociali, maggiore rigore contro la corruzione, sostegno all’impresa e salari più dignitosi. Il centrodestra italiano ha molti difetti – a partire dal conflitto d’interessi – ma di qui a parlare di «pericolo fascista» ce ne corre; significa ignorare il congresso di Fiuggi, gli strappi di Gianfranco Fini dal Ventennio, come pure il fatto che lo stesso centrodestra al governo ha provato a modificare la Costituzione senza toccarne i “Principi fondamentali”. Provare a persuadere gli italiani che l’uomo nero fosse dietro l’angolo era una strategia perdente e tale si è rivelata. È giunto il momento di prenderne atto, una volta per sempre: questo Paese è cambiato.
Mauro Ammirati
lunedì 28 aprile 2008
"I giorni del blues" di Mauro Ammirati
Il 30 novembre è stata presentata presso la libreria Feltrinelli di Pescara, l’opera prima di carattere narrativo del giornalista pubblicista Mauro Ammirati, oggi Direttore responsabile del trimestrale “Vivere a Scafa”. Relatore della presentazione il nostro direttore responsabile Massimo Pasqualone il quale, nonostante la profonda amicizia che lo lega all’esordiente autore Ammirati, ha tracciato le fila del libro con grande lucidità. “I Giorni del Blues” è il resoconto del protagonista Flavio Vibo e di riflesso del suo autore sui quarant’anni di vita trascorsi: intreccio di passioni veraci, passioni deludenti, sogni, aspirazioni e amare sconfitte. Flavio, giornalista insoddisfatto delle indagini condotte sull’uccisione dell’amico e collega Valdo Chavet, fidandosi del proprio istinto, si incammina verso la città natale dell’amico: Pescara il “rifugio sicuro”. Nel capoluogo adriatico le indagini sembrano prendere una piega diversa anche grazie ai contatti con il clochard Ettore, uomo che subito si rivela diverso da quello che l’apparenza lascerebbe credere.
Il desiderio di far luce sulla morte dell’amico Valdo diventa un pretesto per la scoperta di se stesso alle soglie della maturità. Ammirati denuncia il disinganno, la delusione dei quarantenni di oggi, i figli degli anni sessanta, quelli che avrebbero dominato il mondo e che invece si sono svegliati una mattina e si sono resi conto che esso correva troppo veloce e che ormai erano già superati. “Noi siamo l’avanguardia dei gamberi”: la prima generazione ad essere tornata indietro, la generazione che è cresciuta con i primi elettrodomestici in casa, quella del boom economico che ha finito col ripiegarsi su se stessa.
Ma quest’opera nasce anche come profondo ringraziamento dell’autore alle passioni che hanno costellato i suoi quarant’anni di vita rendendo speciali attimi di vita quotidiana: l’amicizia, i libri e la lettura, il grande calcio e il bel calcio, il suo lavoro di giornalista con tutte le difficoltà, la politica e la musica blues, in particolare quella di Muddy Waters. Infine il ringraziamento speciale al suo maestro ideale, Indro Montanelli che non ha mai conosciuto ma che con i suoi pezzi lo ha fatto innamorare del giornalismo.
L’opera, edita da “Il Filo” di Roma, porta un pezzetto d’Abruzzo in giro per l’Italia con la denuncia della corruzione e del degrado sociale che ormai pesa anche su Pescara: prostituzione, immigrazione, emarginati dalla società, gli effetti della globalizzazione, il mercato cinese, l’euro… Lo stile del libro è altalenante poiché risente dell’attività giornalistica soprattutto nei momenti di denuncia sociale, quando il giornalista finisce col prevalere sullo scrittore, Ammirati lascia scorrere pagine di una lucidità vitrea e immancabilmente obiettive. Come non mancano del resto continue citazioni che intessono la trama dell’opera e che costituiscono l’evidente background dell’autore: Blaise Pascal, Gabriele D’annunzio, William Shakespeare, Ernest Hemingway, Guy de Maupassant…
La quarta di copertina lo definisce un thriller ma “I giorni del Blues” è molto di più.
Cecilia Pirocco (“Il cittadino di Ortona”, dicembre 2006)
Il desiderio di far luce sulla morte dell’amico Valdo diventa un pretesto per la scoperta di se stesso alle soglie della maturità. Ammirati denuncia il disinganno, la delusione dei quarantenni di oggi, i figli degli anni sessanta, quelli che avrebbero dominato il mondo e che invece si sono svegliati una mattina e si sono resi conto che esso correva troppo veloce e che ormai erano già superati. “Noi siamo l’avanguardia dei gamberi”: la prima generazione ad essere tornata indietro, la generazione che è cresciuta con i primi elettrodomestici in casa, quella del boom economico che ha finito col ripiegarsi su se stessa.
Ma quest’opera nasce anche come profondo ringraziamento dell’autore alle passioni che hanno costellato i suoi quarant’anni di vita rendendo speciali attimi di vita quotidiana: l’amicizia, i libri e la lettura, il grande calcio e il bel calcio, il suo lavoro di giornalista con tutte le difficoltà, la politica e la musica blues, in particolare quella di Muddy Waters. Infine il ringraziamento speciale al suo maestro ideale, Indro Montanelli che non ha mai conosciuto ma che con i suoi pezzi lo ha fatto innamorare del giornalismo.
L’opera, edita da “Il Filo” di Roma, porta un pezzetto d’Abruzzo in giro per l’Italia con la denuncia della corruzione e del degrado sociale che ormai pesa anche su Pescara: prostituzione, immigrazione, emarginati dalla società, gli effetti della globalizzazione, il mercato cinese, l’euro… Lo stile del libro è altalenante poiché risente dell’attività giornalistica soprattutto nei momenti di denuncia sociale, quando il giornalista finisce col prevalere sullo scrittore, Ammirati lascia scorrere pagine di una lucidità vitrea e immancabilmente obiettive. Come non mancano del resto continue citazioni che intessono la trama dell’opera e che costituiscono l’evidente background dell’autore: Blaise Pascal, Gabriele D’annunzio, William Shakespeare, Ernest Hemingway, Guy de Maupassant…
La quarta di copertina lo definisce un thriller ma “I giorni del Blues” è molto di più.
Cecilia Pirocco (“Il cittadino di Ortona”, dicembre 2006)
lunedì 21 aprile 2008
Due messaggi forti
La Lega ha fretta, chiede che il nuovo governo venga formato al più presto, non vuole che la gestazione duri troppo a lungo, mette subito le carte sul tavolo e fa capire che, pur di ottenere il ministero dell’Interno, quello competente in materia d’ordine pubblico ed immigrazione, è disposta anche a salire sulle barricate. Per carità, niente che non avessimo già visto in passato, all’indomani delle elezioni politiche, nello schieramento vincente. Ma questa smania leghista di concludere le trattative che solitamente accompagnano la composizione d’un esecutivo va ben al di là delle consuetudini della politica di casa nostra. Proviamo a capirci qualcosa. Cominciamo con il dire, anzi col ripetere, che i temi sui quali Bossi ha investito e capitalizzato di più sono l’immigrazione, la tutela dell’ordine pubblico ed il federalismo fiscale (i primi due, invero, sono talmente legati da costituirne uno solo). Sul versante del federalismo fiscale la Lega si sente più che coperta, il ministero dell’Economia va a Giulio Tremonti, l’interlocutore principale dei nordisti dentro il Pdl (e che gli elettori leghisti considerano uno di loro). In questa fase, dunque, la battaglia da combattere è quella per ottenere gli Interni. Chiariamolo subito, è questione strategica perché parliamo d’un movimento che alle parole d’ordine ed ai simboli ha sempre attribuito un’importanza primaria (i giuramenti, l’ampolla dell’acqua del Po, le camicie verdi, i raduni di Pontida…) e nel momento attuale il dicastero dell’Interno non è solo lo strumento principale per controllare le frontiere e reprimere la criminalità straniera, ma un vero e proprio simbolo. Affidare tale carica ad un leghista significherebbe già di per sé mandare un messaggio forte e chiaro a quella parte dell’elettorato settentrionale che chiede una linea più rigorosa ed intransigente contro la delinquenza. Un modo per dire che si comincia a fare sul serio, che l’impegno assunto in campagna elettorale per un maggiore controllo del territorio non era propaganda, che combattere ladri e stupratori non è solo uno slogan. Pertanto, c’è da aspettarsi che dalla posizione presa la Lega non arretrerà d’un millimetro.
L’altra ragione che ha spinto Bossi a chiedere che si faccia presto ad assegnare i ministeri è costituita, anche qui, dalla necessità di rassicurare il suo elettorato con un altro messaggio forte. «Da oggi niente più vertici di maggioranza, parleremo solo con Berlusconi», ha dichiarato il leader leghista. E, ciò che è più significativo, lo ha dichiarato solo qualche giorno dopo le elezioni, vale a dire alla prima occasione. Senza perdere tempo, la Lega ha subito avvertito i suoi alleati: il nuovo governo non dovrà essere come i due di centrodestra del quinquennio 2001-2006, che, tra veti, mediazioni estenuanti, compromessi al ribasso ed altri rituali come, appunto, i vertici di maggioranza, non si distinsero affatto dagli esecutivi precedenti, né da quello successivo presieduto da Prodi. Per dirla con il loro linguaggio: il nuovo governo non dovrà essere “romano”. E, non lo sembrerà, ma è un messaggio forte.
Mauro Ammirati
L’altra ragione che ha spinto Bossi a chiedere che si faccia presto ad assegnare i ministeri è costituita, anche qui, dalla necessità di rassicurare il suo elettorato con un altro messaggio forte. «Da oggi niente più vertici di maggioranza, parleremo solo con Berlusconi», ha dichiarato il leader leghista. E, ciò che è più significativo, lo ha dichiarato solo qualche giorno dopo le elezioni, vale a dire alla prima occasione. Senza perdere tempo, la Lega ha subito avvertito i suoi alleati: il nuovo governo non dovrà essere come i due di centrodestra del quinquennio 2001-2006, che, tra veti, mediazioni estenuanti, compromessi al ribasso ed altri rituali come, appunto, i vertici di maggioranza, non si distinsero affatto dagli esecutivi precedenti, né da quello successivo presieduto da Prodi. Per dirla con il loro linguaggio: il nuovo governo non dovrà essere “romano”. E, non lo sembrerà, ma è un messaggio forte.
Mauro Ammirati
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Il segno, il colore, il fuoco
L’Associazione Culturale Michettiinfesta, presieduta da Maurizio Di Sante Marolli, organizza la prima edizione della mostra d’arte ceramica ‘’Il segno, il colore , il fuoco’’.
La direzione scientifica è affidata al PROF. MASSIMO PASQUALONE.
L’esposizione si terrà dal 25 aprile al 1 maggio 2008 presso la Sala Ovale del Palazzo Sirena in Francavilla al Mare.
La premiazione si terrà presso lo stesso luogo il 27 aprile alle ore 18.00.
A disposizione dieci premi-acquisto da 250 euro. Partecipano più di cinquanta artisti provenienti da tutta Italia, da Atene, Barcellona, Ginevra.
La presidenza della giuria è stata affidata al prof. LEo Strozzieri.
La direzione scientifica è affidata al PROF. MASSIMO PASQUALONE.
L’esposizione si terrà dal 25 aprile al 1 maggio 2008 presso la Sala Ovale del Palazzo Sirena in Francavilla al Mare.
La premiazione si terrà presso lo stesso luogo il 27 aprile alle ore 18.00.
A disposizione dieci premi-acquisto da 250 euro. Partecipano più di cinquanta artisti provenienti da tutta Italia, da Atene, Barcellona, Ginevra.
La presidenza della giuria è stata affidata al prof. LEo Strozzieri.
martedì 15 aprile 2008
L'immigrazione argomento determinante
La vittoria del centrodestra alle elezioni politiche italiane è tutt’altro che sorprendente. Non occorreva che ce lo dicessero i sondaggi per sapere che sarebbe andata a finire così (al di là del fatto che, in passato, i sondaggisti qualche cantonata l’hanno pure presa), bastava guardarsi intorno, il malcontento provocato dal governo Prodi si toccava con mano. Tanto bastava per capire che in questa partita il Pd non aveva alcuna chance. Possono, forse, stupire quei circa nove punti percentuali che separano Berlusconi da Veltroni, una vittoria così schiacciante, probabilmente, neanche il leader del Pdl se l’aspettava. Ma, convenendo con quasi tutti gli opinion makers, italiani e stranieri, a nostro parere, i dati davvero sorprendenti sono l’avanzata della Lega Nord ed il tracollo della Sinistra l’Arcobaleno. No, che la sinistra antagonista non riuscisse ad oltrepassare neanche lo sbarramento alla Camera e la Lega, praticamente, raddoppiasse i consensi non l’aveva previsto proprio nessuno (siamo anche pronti a ricrederci, ma prima del 14 aprile non abbiamo letto alcun articolo in cui venissero profetizzati i fatti suddetti). Ad ogni modo, si può ragionevolmente affermare che i due dati hanno un aspetto in comune: l’uno e l’altro sono stati determinati dalla reazione d’una buona parte dell’elettorato settentrionale alle conseguenze sull’ordine pubblico dell’immigrazione crescente ed incontrollata. Lunedì sera, ostentando soddisfazione e commentando i risultati usciti dalle urne, i dirigenti della Lega Nord battevano tutti, nessuno escluso, sullo stesso chiodo, anzi su due chiodi: «federalismo fiscale» e «stop all’invasione». Badate bene: «invasione», che non è proprio come dire “immigrazione”. La Lega, è un dato inconfutabile e riconosciuto anche dagli esponenti dell’estrema sinistra, ha raccolto un’alta percentuale di voti nei quartieri e nelle zone ad alta presenza di operai. Orbene, è quantomeno dubbio che alla classe operaia del Settentrione stiano particolarmente a cuore il federalismo fiscale, l’antistatalismo e, men che meno, il liberismo per i quali la Lega si batte da sempre. Mentre è certo che l’impennata dei reati commessi da immigrati negli ultimi anni ha colpito soprattutto le periferie, ossia i quartieri popolari delle grandi città. Un fenomeno che la sinistra antagonista non poteva vedere per miopia ideologica, così che il ministro comunista Ferrero proponeva di accorciare i tempi per ottenere la cittadinanza italiana; che la sinistra riformista ha sottovalutato quanto a pericolosità, forse ritenendo che la tutela dell’ordine pubblico fosse un argomento “di destra” (a Roma, con Veltroni Sindaco, sono sorte le baraccopoli di zingari rom, mentre nella rossa Bologna, il Sindaco Cofferati le baracche voleva toglierle e per questo è stato messo sotto processo dal suo stesso schieramento); e che Berlusconi e Fini hanno preferito tenere ai margini della campagna elettorale, per timore di essere presi per xenofobi e non abbastanza “popolari europei”. Morale: la lotta all’immigrazione è stata considerata riserva di caccia (di voti) della Lega Nord che – troppa grazia, Sant’Antonio! – quasi non riusciva a credere che gli alleati fossero così generosi nei suoi confronti. Più che per propri meriti, Bossi vince per demeriti di avversari e, soprattutto, alleati. Da anni, a dirla tutta.
Il federalismo fiscale, invece, da oggi rappresenta un serio problema per Silvio Berlusconi. Cosa accadrà quando i leghisti porteranno la cambiale all’incasso? Non ci riferiamo alla distribuzione di ministeri, ma al programma di governo, per intenderci, alle cose concrete, alle riforme da fare. «Le tasse pagate dal Nord devono restare al Nord», dicono i deputati ed i senatori del partito del Carroccio. Le riforme costituzionali d’ispirazione federalista difficilmente potranno farsi a maggioranza qualificata, cioè con il consenso dell’opposizione. Se, com’è probabile, si faranno a maggioranza assoluta, quasi sicuramente saranno sottoposte ad un referendum confermativo. Se ne fece già uno, anni fa, sulla devolution e si sa con quale esito. Il progetto di riforma proposto fu respinto a stragrande maggioranza, votarono contro anche moltissimi elettori di centrodestra (che, invero, specie al Meridione, per il federalismo non impazziscono). Vogliamo semplicemente dire che sul suo territorio la Lega è indiscutibilmente fortissima e radicata, ma è comunque minoranza e l’Italia non è solo il Nord. Per la coalizione che ora deve governare l’Italia, questo è un problema.
Mauro Ammirati
Il federalismo fiscale, invece, da oggi rappresenta un serio problema per Silvio Berlusconi. Cosa accadrà quando i leghisti porteranno la cambiale all’incasso? Non ci riferiamo alla distribuzione di ministeri, ma al programma di governo, per intenderci, alle cose concrete, alle riforme da fare. «Le tasse pagate dal Nord devono restare al Nord», dicono i deputati ed i senatori del partito del Carroccio. Le riforme costituzionali d’ispirazione federalista difficilmente potranno farsi a maggioranza qualificata, cioè con il consenso dell’opposizione. Se, com’è probabile, si faranno a maggioranza assoluta, quasi sicuramente saranno sottoposte ad un referendum confermativo. Se ne fece già uno, anni fa, sulla devolution e si sa con quale esito. Il progetto di riforma proposto fu respinto a stragrande maggioranza, votarono contro anche moltissimi elettori di centrodestra (che, invero, specie al Meridione, per il federalismo non impazziscono). Vogliamo semplicemente dire che sul suo territorio la Lega è indiscutibilmente fortissima e radicata, ma è comunque minoranza e l’Italia non è solo il Nord. Per la coalizione che ora deve governare l’Italia, questo è un problema.
Mauro Ammirati
lunedì 7 aprile 2008
Buone letture
Autori Vari
Il silenzio della poesia
a cura di Alessandro Rambertiintroduzione di Massimo Pasqualone
€ 14,00 pp. 182, FaraeditoreOpere di: Adele Desideri - Alessandro Seri - Antonietta Gnerre - Carla De Angelis - Colomba Di Pasquale - Cristian Pretolani - Filippo Amadei - Giampaolo Vincenzi - Gianmaria Giannetti - Guido Mattia Gallerani - Italo Radoccia - Morena Fanti - Ottavio Rossani - Riccardo Burgazzi - Rita Giurastante - Stefano Cattani - Stefano Leoni - suggestione di lettura di Stefano Martello
Il silenzio della poesia nasce da un incontro (organizzato dal curatore e da Massimo Pasqualone in collaborazione con l’Associazione Culturale “Alento”) tenutosi il 16 febbraio 2008 presso il Museo Michetti di Francavilla al Mare (patrocinio del Comune e della Provincia di Chieti): 24 autori da tutta Italia si sono confrontati sul tema, al tempo stesso avvincente e sfuggente (se non addirittura contraddittorio) che dà il titolo a questo libro. 17 li trovate pulsanti in queste pagine, con le loro poesie e/o le loro riflessioni: un campione piccolo ma significativo (anche per la grande varietà delle poetiche rappresentate e per il taglio transgenerazionale) dello status del poeta nel Bel Paese di oggi. La poesia agli occhi di molti è “vanità” nel senso qoheletiano del termine hèvel: un “fiato” che non sembra avere grande importanza, un vapore che si dissolve presto, senza la capacità di sommuovere che ha la musica, né la facilità icastica di uno slogan. Forse l’essenza della poesia è proprio qui, nel suo essere labile e impalpabile eppure con una carica concentrata di energia che aspetta solo il lettore attento o abituato alla sue “frequenze”: se la poesia è gratuita, umilmente accolta come una pietra preziosa dal poeta che può (deve) certo lavorarla ma mai possederla, essa può raggiungere tutti e germinare in coloro che hanno orecchi per intenderla…
Il silenzio della poesia
a cura di Alessandro Rambertiintroduzione di Massimo Pasqualone
€ 14,00 pp. 182, FaraeditoreOpere di: Adele Desideri - Alessandro Seri - Antonietta Gnerre - Carla De Angelis - Colomba Di Pasquale - Cristian Pretolani - Filippo Amadei - Giampaolo Vincenzi - Gianmaria Giannetti - Guido Mattia Gallerani - Italo Radoccia - Morena Fanti - Ottavio Rossani - Riccardo Burgazzi - Rita Giurastante - Stefano Cattani - Stefano Leoni - suggestione di lettura di Stefano Martello
Il silenzio della poesia nasce da un incontro (organizzato dal curatore e da Massimo Pasqualone in collaborazione con l’Associazione Culturale “Alento”) tenutosi il 16 febbraio 2008 presso il Museo Michetti di Francavilla al Mare (patrocinio del Comune e della Provincia di Chieti): 24 autori da tutta Italia si sono confrontati sul tema, al tempo stesso avvincente e sfuggente (se non addirittura contraddittorio) che dà il titolo a questo libro. 17 li trovate pulsanti in queste pagine, con le loro poesie e/o le loro riflessioni: un campione piccolo ma significativo (anche per la grande varietà delle poetiche rappresentate e per il taglio transgenerazionale) dello status del poeta nel Bel Paese di oggi. La poesia agli occhi di molti è “vanità” nel senso qoheletiano del termine hèvel: un “fiato” che non sembra avere grande importanza, un vapore che si dissolve presto, senza la capacità di sommuovere che ha la musica, né la facilità icastica di uno slogan. Forse l’essenza della poesia è proprio qui, nel suo essere labile e impalpabile eppure con una carica concentrata di energia che aspetta solo il lettore attento o abituato alla sue “frequenze”: se la poesia è gratuita, umilmente accolta come una pietra preziosa dal poeta che può (deve) certo lavorarla ma mai possederla, essa può raggiungere tutti e germinare in coloro che hanno orecchi per intenderla…
venerdì 4 aprile 2008
Due concetti distinti
Si può condividere o meno il proposito, in buona parte già raggiunto, di Giuliano Ferrara di riportare la questione aborto al centro del dibattito politico. Ciò che invece non si può affatto condividere è la volontà di impedirgli di parlare, di portare a termine un comizio e costringerlo a scappare sotto scorta, nel mezzo di tafferugli e scontri tra polizia e dimostranti, per evitare il peggio. Al contrario di quanto hanno riportato gli organi di stampa, Giuliano Ferrara, a Bologna, non è stato «contestato»: è stato aggredito. È diverso, molto diverso, maledettamente diverso. Contestare significa confutare, opporre l’argomentazione contraria, provare a dimostrare la veridicità della propria tesi, invalidando, in tal modo, quella sostenuta dalla parte avversa. Il lancio di ortaggi ed uova a chi sostiene un’opinione contraria alla nostra, mettendolo a tacere con urla ed insulti e rendendo necessario l’intervento delle forze dell’ordine - che si sappia e si ricordi – non è una contestazione, bensì una vera e propria aggressione. Chi non è capace di fare una distinzione così semplice ed elementare, deve ancora apprendere i rudimenti della democrazia, cominciando dal quel principio secondo il quale non si può essere tolleranti sono con chi è del nostro parere. Ad ogni buon conto, è confortante sapere che a Ferrara sono giunte manifestazioni di solidarietà da quasi tutto il mondo politico, che uno dei primi a condannare l’accaduto è stato il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, che parole d’indignazione sono state pronunciate da Fausto Bertinotti, candidato alla carica di premier de “la Sinistra l’Arcobaleno”, probabilmente lo schieramento più determinato a difendere il diritto di scelta delle donne in materia d’interruzione volontaria della gravidanza. Resta comunque l’amarezza, suscitata da quelle immagini televisive che riprendevano gli agenti in tessuta antisommossa mentre allontanavano un candidato alle elezioni per il Parlamento della Repubblica che aveva appena dovuto interrompere il suo comizio, onde evitare che la situazione degenerasse ulteriormente. Saremo ingenui, ma con estrema franchezza, non era proprio questa l’Italia del ventunesimo che avevamo sognato da ragazzi.
Già che stiamo parlando di Ferrara, aggiungiamo un’altra considerazione. Forse ha ragione chi afferma che i consensi alla lista pro life non oltrepasseranno lo sbarramento elettorale stabilito per accedere alla Camera dei Deputati e che, pertanto, una questione estremamente seria come l’aborto verrà rinchiusa nel recinto d’un orticello del 2%, talché, dopo il 14 aprile, molti potranno affermare che i pro choice in Italia sono il 98%. Se andrà così, alla fine, Ferrara avrà fatto più male che altro alla causa della tutela del nascituro. Anche per tale ragione, prudentemente (e forse pure saggiamente) la gerarchia cattolica aveva manifestato perplessità riguardo alla formazione d’una lista antiabortista sin da quando questa era solo un’ipotesi. Ma bisognerebbe soffermarsi a riflettere sul fatto che a riaprire il dibattito non sulla legge 194, ma sulla liceità dell’interruzione della gravidanza e sulle cosiddette questioni etiche siano state personalità estranee al mondo cattolico come Marcello Pera, lo stesso Giuliano Ferrara ed Eugenia Roccella, la figlia d’uno dei fondatori del partito radicale, la quale afferma: «Oggi, se papà fosse vivo starebbe con me.»
Mauro Ammirati
Già che stiamo parlando di Ferrara, aggiungiamo un’altra considerazione. Forse ha ragione chi afferma che i consensi alla lista pro life non oltrepasseranno lo sbarramento elettorale stabilito per accedere alla Camera dei Deputati e che, pertanto, una questione estremamente seria come l’aborto verrà rinchiusa nel recinto d’un orticello del 2%, talché, dopo il 14 aprile, molti potranno affermare che i pro choice in Italia sono il 98%. Se andrà così, alla fine, Ferrara avrà fatto più male che altro alla causa della tutela del nascituro. Anche per tale ragione, prudentemente (e forse pure saggiamente) la gerarchia cattolica aveva manifestato perplessità riguardo alla formazione d’una lista antiabortista sin da quando questa era solo un’ipotesi. Ma bisognerebbe soffermarsi a riflettere sul fatto che a riaprire il dibattito non sulla legge 194, ma sulla liceità dell’interruzione della gravidanza e sulle cosiddette questioni etiche siano state personalità estranee al mondo cattolico come Marcello Pera, lo stesso Giuliano Ferrara ed Eugenia Roccella, la figlia d’uno dei fondatori del partito radicale, la quale afferma: «Oggi, se papà fosse vivo starebbe con me.»
Mauro Ammirati
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