La Lega ha fretta, chiede che il nuovo governo venga formato al più presto, non vuole che la gestazione duri troppo a lungo, mette subito le carte sul tavolo e fa capire che, pur di ottenere il ministero dell’Interno, quello competente in materia d’ordine pubblico ed immigrazione, è disposta anche a salire sulle barricate. Per carità, niente che non avessimo già visto in passato, all’indomani delle elezioni politiche, nello schieramento vincente. Ma questa smania leghista di concludere le trattative che solitamente accompagnano la composizione d’un esecutivo va ben al di là delle consuetudini della politica di casa nostra. Proviamo a capirci qualcosa. Cominciamo con il dire, anzi col ripetere, che i temi sui quali Bossi ha investito e capitalizzato di più sono l’immigrazione, la tutela dell’ordine pubblico ed il federalismo fiscale (i primi due, invero, sono talmente legati da costituirne uno solo). Sul versante del federalismo fiscale la Lega si sente più che coperta, il ministero dell’Economia va a Giulio Tremonti, l’interlocutore principale dei nordisti dentro il Pdl (e che gli elettori leghisti considerano uno di loro). In questa fase, dunque, la battaglia da combattere è quella per ottenere gli Interni. Chiariamolo subito, è questione strategica perché parliamo d’un movimento che alle parole d’ordine ed ai simboli ha sempre attribuito un’importanza primaria (i giuramenti, l’ampolla dell’acqua del Po, le camicie verdi, i raduni di Pontida…) e nel momento attuale il dicastero dell’Interno non è solo lo strumento principale per controllare le frontiere e reprimere la criminalità straniera, ma un vero e proprio simbolo. Affidare tale carica ad un leghista significherebbe già di per sé mandare un messaggio forte e chiaro a quella parte dell’elettorato settentrionale che chiede una linea più rigorosa ed intransigente contro la delinquenza. Un modo per dire che si comincia a fare sul serio, che l’impegno assunto in campagna elettorale per un maggiore controllo del territorio non era propaganda, che combattere ladri e stupratori non è solo uno slogan. Pertanto, c’è da aspettarsi che dalla posizione presa la Lega non arretrerà d’un millimetro.
L’altra ragione che ha spinto Bossi a chiedere che si faccia presto ad assegnare i ministeri è costituita, anche qui, dalla necessità di rassicurare il suo elettorato con un altro messaggio forte. «Da oggi niente più vertici di maggioranza, parleremo solo con Berlusconi», ha dichiarato il leader leghista. E, ciò che è più significativo, lo ha dichiarato solo qualche giorno dopo le elezioni, vale a dire alla prima occasione. Senza perdere tempo, la Lega ha subito avvertito i suoi alleati: il nuovo governo non dovrà essere come i due di centrodestra del quinquennio 2001-2006, che, tra veti, mediazioni estenuanti, compromessi al ribasso ed altri rituali come, appunto, i vertici di maggioranza, non si distinsero affatto dagli esecutivi precedenti, né da quello successivo presieduto da Prodi. Per dirla con il loro linguaggio: il nuovo governo non dovrà essere “romano”. E, non lo sembrerà, ma è un messaggio forte.
Mauro Ammirati
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