venerdì 13 giugno 2008

Il dibattito nel Pd

Dalle “notti bianche”, che erano il suo fiore all’occhiello quando era Sindaco di Roma, alla “notte dei lunghi coltelli” o, come direbbe il grande Eduardo, alla “nuttata”, per indicare un momento particolarmente difficile. Era inevitabile che le due sconfitte, quella del 14 aprile e quella delle elezioni municipali della Capitale, portassero ad una resa dei conti in casa Pd, com’era altrettanto inevitabile che le accuse più pesanti venissero rivolte al leader, Walter Veltroni. È così da sempre e dovunque, è una legge della politica che non risparmia nessuno. Così ora nello stesso partito c’è chi chiede un congresso straordinario, mentre si discute e ci si divide su un’altra importante questione: il gruppo in cui confluire tra un anno nel Parlamento europeo. Due grandi problemi per Veltroni, al punto che il medesimo leader in un suo intervento, di qualche giorno fa, ha parlato esplicitamente, allo scopo di scongiurarlo, di rischio di «scissione». Andiamo con ordine.
Il congresso straordinario non avrebbe alcun senso se il fine perseguito non fosse quello di rimettere in discussione la leadership, cioè la linea da questa adottata. Non sono pochi nel Pd a ritenere che sia stato un grave errore la decisione di «correre da soli», ossia di rinunciare all’alleanza con l’estrema sinistra. E rilevante è anche il numero di coloro che rimproverano a Veltroni di aver scelto la strada del dialogo con Berlusconi, in luogo di un’opposizione dura ed intransigente, la strategia scelta da Di Pietro, il quale potrebbe trarre enormi benefici in termini elettorali dalla nuova fase di rapporti tra Pd e centrodestra. Qui occorre soffermarsi, perché talune accuse verso l’ex Sindaco di Roma, sono probabilmente ingenerose. Una volta ottenuta l’investitura a segretario del neonato partito, Veltroni non poté fare altro che constatare il fallimento del disegno politico di Prodi e dei suoi seguaci. «Sbagliare è umano, perseverare è diabolico», dice un vecchio adagio. Perseverare nell’alleanza con la sinistra antagonista, dopo due esperienze di governo conclusesi come sappiamo, sarebbe stato semplicemente «diabolico». Forse, se il 14 aprile ai voti della sinistra verde e neocomunista si fossero aggiunti quelli del Pd, oggi Berlusconi non sarebbe Capo di governo, ma probabilmente l’esecutivo starebbe discutendo su come trovare un accordo su termovalorizzatori, centrali nucleari, legge Biagi… ed altre questioni sulle quali il governo Prodi s’impantanò senza riuscire in alcun modo a venirne fuori.
La scelta del gruppo cui aderire nel Parlamento di Strasburgo è questione terribilmente seria. Veltroni l’ha resa ancora più complicata accettando candidature di alcuni radicali nelle liste del suo partito. In Europa il bipolarismo è tra socialisti e popolari (o se preferite conservatori), non esiste nelle grandi democrazie occidentali, fatta eccezione per gli Stati Uniti, una grande forza politica di massa come il Pd, che non è socialista ma le cui radici non sono neppure nel popolarismo. Problema spinoso, ma anche qui puntare l’indice sulla leadership serve a poco. Nel caso qualcuno l’abbia dimenticato, milioni di militanti e simpatizzanti, mesi fa, parteciparono alle elezioni primarie per scegliere il gruppo dirigente, stilando l’atto di nascita di questo nuovo soggetto politico. Se un progetto così ambizioso rischia di essere accantonato dopo la prima sconfitta o perché non si quali compagni di strada scegliere in Europa, allora significa che i suoi stessi fondatori nel Pd non hanno mai creduto.
Mauro Ammirati

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