sabato 17 maggio 2008

Gli ostacoli sulla strada del dialogo


La buona volontà è sempre da apprezzare. Se Berlusconi e Veltroni scelgono la via del dialogo, anteponendo – contrariamente a quanto è avvenuto dal 1994 ad oggi – l’interesse generale a quello di parte, se si riesce a sostituire il confronto all’incomunicabilità, possiamo solo rallegrarcene. Così come è da apprezzare il metodo che si è convenuto di adottare nel caso in questione: affrontare, una per una, poche questioni, cominciando da quelle sulle quali in passato si sono già manifestate convergenze (come la diminuzione del numero dei parlamentari), piuttosto che provare a scrivere insieme grandi progetti di riforma costituzionale (il meglio è nemico del bene). Ciò non toglie, purtroppo, che sulla strada tracciata dai leaders del Pd e del Pdl restino due grandi ostacoli. Il primo è il referendum Segni-Guzzetta, che è stato solo rinviato e che, quindi, è destinato a suscitare nuovamente forti tensioni, specie all’interno del centrodestra, essendo particolarmente temuto dalla Lega Nord. Tecnicamente, prima ancora che politicamente, non sarà facile disinnescare quella bomba. Per inciso: non è affatto vero che la Calderoni abbia dimostrato, in realtà, di essere una buona legge, la semplificazione del quadro politico che si è concretizzata sotto i nostri occhi in occasione delle ultime elezioni politiche è da attribuire unicamente alle scelte strategiche di Pd e Pdl e si è realizzata “nonostante” la formula elettorale. Il secondo ostacolo da superare in questa nuova fase del rapporto tra i due poli è il federalismo fiscale. Occorre ricordarlo ancora una volta: la Lega nel Settentrione è fortissima, ma rappresenta un elettore su cinque e nel resto del Paese è quasi inesistente. Il referendum confermativo sulla devolution del 2006 ha dimostrato inconfutabilmente che, a dispetto di quanto in molti affermano, alla stragrande maggioranza degli italiani la causa federalista non sta poi tanto a cuore. Ed abbiamo più d’una ragione per ritenere che specie al Sud l’idea di ripartire le risorse secondo il disegno leghista provochi più preoccupazione che altro. Inutile nasconderselo, il problema è tutt’interno al centrodestra ed a dimostrarlo possono bastare le cifre relative alla consultazione referendaria summenzionata, le quali attestano che una percentuale rilevante di elettori dell’allora Cdl due anni fa si espressero contro la devolution, approvata dal Parlamento e poi sottoposta al giudizio degli italiani. Berlusconi ripete spesso che senza la Lega non si vince. I numeri (e le elezioni del 1996) gli danno ragione. Il punto è che Bossi è consapevole di rappresentare un partito che, almeno per il momento (in futuro vedremo), non è nazionale, ma territoriale, persegue gli interessi del Nord portando in dote all’alleanza i suoi numerosi consensi. Per un partito nazionale come il Pdl, invece, la questione è particolarmente complicata. Se in materia di poteri alle Regioni si spinge oltre un certo limite, metà del suo elettorato gli volta le spalle. Il problema non è trovare un accordo tra alleati, magari riunendosi in una baita alpina, come avvenne qualche anno fa. Perché non serve ai generali disegnare grandi strategie militari se poi i loro eserciti non li seguono.
Mauro Ammirati

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