“La montagna che cammina”, così venne definito il primo pugile italiano che vinse il campionato di pesi massimi nel 1933, diventando famoso in tutto il mondo. La pellicola si apre con un Primo Carnera ancora bambino, ma già grande nella mole rispetto ai suoi coetanei e già consapevole di cosa sia la sofferenza, soprattutto quella dovuta alla povertà ed alla fame. Il piccolo Carnera pensa solo a saziarsi, a mangiare in maniera spropositata e cresce in maniera smisurata. Emigra in Francia per sopravvivere, ma la sua forza e la sua grandezza gli serviranno solo a diventare un fenomeno da baraccone. Il suo destino, però non è quello e qualcuno, che oggi sarebbe definito un talent scout, lo intuisce. Un’intuizione che finirà per convincere lo stesso gigante buono che nella sua ingenuità afferma: «Se Dio mi ha dato queste mani, un motivo deve pur esserci.» Inizia così ad allenarsi per diventare pugile, ma pochi credono in lui, la sua mole non dà certezze in quello sport, non dà guadagni... Ma si sbagliavano. In breve tempo Primo Carnera diventa il più grande pugile dei suoi tempi, ottiene tante vittorie e dimentica l’odore del tappeto, dell'essere un perdente. La sua fama arriva oltreoceano, le sue vittorie rendono orgogliosi gli italiani emigrati, per molti realizza il Sogno Americano e il regime fascista lo osanna. La fortuna sembra seguirlo, nel giro di poco tempo sposerà anche la donna della sua vita. La sconfitta, però, era alle porte: Max Bear lo mette al tappeto, nonostante la sagacia lo porti a rialzarsi per ben 10 volte. La scarsa cultura e la tanta, troppa semplicità non perdonano, manager incalliti e senza scrupoli gli derubano gran parte dei guadagni. Ma ormai è un Mito e tale resterà negli anni, i figli ne raccoglieranno le memorie e non patiranno la fame.
Enzo Martinelli è molto bravo a ripercorre le tappe del grande pugile italiano, tanto popolare nel periodo fascista ed a illustrarne la storia anche a chi non lo conosceva, perché troppo giovane. Ammirevole il modo in cui il regista ne ha rappresentato anche la semplicità, che spesso non si crede debba appartenere ad un mito. Bellissima dal punto di vista tecnico la ricostruzione in digitale del Madison Squadre Garden e delle enormi platee che seguivano gli incontri di boxe. Stilisticamente invece troppo artificioso il passaggio dal bianco e nero della pellicola invecchiata alla color correction moderna e qualche perplessità sorge riguardo l’interpretazione dei personaggi, si fa fatica ad affezionarsi e ad esserne coinvolti, colpa forse del doppiaggio. In definitiva, il film tecnicamente e narrativamente non fa una piega, eppure se qualche episodio didascalico fosse stato omesso per approfondire la caratterizzazione dei personaggi, nonché la sensibilità di questa montagna d’uomo che soccorre i suoi avversari, che diventa simbolo di riscatto e di gloria per un' intera nazione e che è fiero di incassare pugni per dare un futuro ai propri figli, forse ci sarebbe stato un filo di commozione in più nel vederlo e non solo nel raccontarlo. E, magri, non sarebbe sembrato a chi è appena uscito dalla sala, di aver seguito la cronistoria di un mito dall’odore di fiction.
Marta Ronzone
Enzo Martinelli è molto bravo a ripercorre le tappe del grande pugile italiano, tanto popolare nel periodo fascista ed a illustrarne la storia anche a chi non lo conosceva, perché troppo giovane. Ammirevole il modo in cui il regista ne ha rappresentato anche la semplicità, che spesso non si crede debba appartenere ad un mito. Bellissima dal punto di vista tecnico la ricostruzione in digitale del Madison Squadre Garden e delle enormi platee che seguivano gli incontri di boxe. Stilisticamente invece troppo artificioso il passaggio dal bianco e nero della pellicola invecchiata alla color correction moderna e qualche perplessità sorge riguardo l’interpretazione dei personaggi, si fa fatica ad affezionarsi e ad esserne coinvolti, colpa forse del doppiaggio. In definitiva, il film tecnicamente e narrativamente non fa una piega, eppure se qualche episodio didascalico fosse stato omesso per approfondire la caratterizzazione dei personaggi, nonché la sensibilità di questa montagna d’uomo che soccorre i suoi avversari, che diventa simbolo di riscatto e di gloria per un' intera nazione e che è fiero di incassare pugni per dare un futuro ai propri figli, forse ci sarebbe stato un filo di commozione in più nel vederlo e non solo nel raccontarlo. E, magri, non sarebbe sembrato a chi è appena uscito dalla sala, di aver seguito la cronistoria di un mito dall’odore di fiction.
Marta Ronzone
1 commento:
Ciao mauro,
grazie per l'inserimento della recensione!
Alla prossima!
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