lunedì 26 maggio 2008

Il prezzo dell'ingovernabilità


In sessant’anni di storia della Repubblica, la caratteristica principale dei governi nazionali italiani è sempre stata la debolezza, da intendersi come incapacità di decidere, di assumersi responsabilità e di prendere problemi di petto sfidando, se del caso, l’impopolarità. In Italia i governi non hanno mai deciso, hanno concertato, concordato, cioè si sono seduti ad un tavolo con – a seconda della situazione da affrontare – sindacati, enti locali, associazioni di categoria, comitato spontanei di cittadini… trattando ad oltranza, fino a che non venisse raggiunto un accordo con un ampio consenso e se l’accordo era irraggiungibile allora veniva tutto rinviato a tempi migliori, lasciando che i problemi degenerassero fino ad incancrenire (vedi l’immondizia di Napoli, solo per restare ai giorni nostri). Come hanno spiegato in qualche migliaio di saggi e volumi autorevoli studiosi di diritto costituzionale, all’indomani della Seconda guerra mondiale, dopo un ventennio di regime fascista, i costituenti ebbero timore di disegnare un sistema politico che garantisse un governo “forte”, un esecutivo che avesse il potere di decidere ricordava troppo quello che aveva portato l’Italia prima alla dittatura, poi alla disfatta militare, lasciando un Paese in macerie. Alle imperfezioni della Carta costituzionale e delle varie leggi elettorali sperimentate, ad impedire la governabilità si aggiunsero, nel corso dei decenni, altri fattori come la mediocrità di leadership più preoccupate di mantenere i consensi e coltivare i rispettivi orticelli, piuttosto che preservare la credibilità delle istituzioni ed il decoro dello Stato. Abbiamo semplificato, ma essenzialmente l’analisi è questa. Dunque, si può facilmente comprendere per quale ragione il quarto governo Berlusconi oggi venga visto, almeno in Patria, come un elemento di discontinuità non solo rispetto a quello precedente – che è cosa normalissima – ma a tutta la storia repubblicana. Il tempo per il nuovo Presidente del Consiglio di insediarsi ed ecco che vengono subito presi misure e provvedimenti anche impopolari su Pubblica amministrazione, immigrazione, criminalità, nuove discariche, fisco, perfino su un argomento fino a ieri tabù come il nucleare. Il nuovo ministro alle Infrastrutture, Altero Matteoli, annuncia che quei Comuni che si opporranno all’apertura di nuove discariche saranno sciolti, Berlusconi su questo fronte promette fermezza, si consideri che le nuove norme in materia che ci si appresta ad approvare in Parlamento prevedono la detenzione per coloro che provassero ad impedire che nuovi siti venissero utilizzati per scaricare rifiuti. Agli americani, gli inglesi e gli svedesi sembrerà un fatto assolutamente normale, cosa ci sarà mai di strano in un governo che decide, costoro si chiederanno. Il fatto strano è che, appunto, decide. In Italia, finora, l’atteggiamento di risolversi ad agire ai vertici delle istituzioni non è stato la regola, ma l’eccezione. Cercate, quindi, di comprendere il nostro stupore. Neanche i precedenti tre governi presieduti da Berlusconi furono un segno di discontinuità, sotto questo profilo. Quello in carica, invece, rappresenta un elemento di rottura, un’inversione, dovuta non soltanto alla composizione bipartitica della coalizione che lo sostiene, ma anche ad un mutamento culturale che è avvenuto nella società italiana. Fino a poco tempo fa, anche il cittadino comune preferiva un governo debole della propria parte, che tutelasse gli interessi del proprio ceto sociale, ad un altro esecutivo in grado di decidere, ma della parte avversaria, che cioè rappresentasse interessi di altri ceti. Per molti italiani il governo Prodi, seppur debolissimo, era comunque una garanzia che non sarebbe stata elevata l’età pensionabile. Gli ultimi anni, però, hanno presentato il conto dell’ingovernabilità. Nella lotta alla criminalità, alla disoccupazione ed alla crescita del debito pubblico, l’Italia sta pagando un prezzo troppo alto. Gli italiani hanno, così, cambiato abito mentale: meglio un governo che prenda decisioni, al limite anche sbagliate, piuttosto che un Paese, di fatto, senza governo.
Mauro Ammirati

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