martedì 16 dicembre 2008
Molto più che governare bene
Non sembra vero a noi abruzzesi che ora si parli tanto delle vicende politiche della nostra terra. Non ci siamo abituati, non era mai avvenuto che le elezioni regionali in Abruzzo suscitassero tanta attenzione e tanto clamore in tutta Italia. Ma stavolta la consultazione si svolgeva in un contesto particolare, così che l’elezione del Consiglio e del Presidente d’una regione che ha solo 1.200.000 abitanti nelle ultime settimane è stato uno dei temi centrali del dibattito politico nazionale. Un contesto particolare, dicevamo. Infatti, tutto è cominciato con l’arresto per corruzione, nello scorso luglio, del precedente Presidente, Ottaviano Del Turco e di alcuni assessori della sua Giunta. D’improvviso, l’Abruzzo è diventato simbolo del malaffare e della malversazione (una pubblicità di cui noi abruzzesi avremmo fatto volentieri a meno). Del Turco si dimette, il che, per statuto, comporta lo scioglimento dell’assemblea e vengono indette nuove elezioni. Si capisce subito che la posta in gioco è ritenuta dai leaders nazionali molto importante, a dispetto delle dimensioni demografiche modeste della regione in parola. Se ne ha avuta la conferma durante la campagna elettorale, quando in Abruzzo ad esprimere il proprio sostegno al candidato alla Presidenza del centrodestra, Gianni Chiodi, Berlusconi è venuto ben quattro volte, mentre il centrosinistra mobilitava lo stato maggiore in favore di Carlo Costantini, dell’Italia dei Valori, antagonista di Chiodi. Le ragioni di tanto impegno erano chiare: in una regione in cui la priorità era (ed è) riportare la moralità nella politica, la vittoria simbolicamente avrebbe conferito il titolo di garante del buon governo dal punto di vista dell’etica pubblica, nel senso di chi può riconciliare l’etica con la politica. Non è un caso che Di Pietro per tutta la campagna elettorale abbia insistito molto sulla cosiddetta “questione morale”, dopo avere posto al Pd come condizione irrinunciabile alla stipulazione dell’alleanza l’esclusione dalle liste di candidati di uomini sotto indagine giudiziaria. E non è nemmeno un caso che proprio Di Pietro, abbia visto i consensi al suo partito moltiplicarsi quasi sette volte rispetto alle ultime elezioni regionali. I numeri usciti dalle urne dimostrano che il rapporto di alleanza-competizione nel centrosinistra giova all’Italia dei valori e danneggia il Pd, come avevamo già spiegato in un nostro articolo di qualche settimana fa. Va tenuto presente, inoltre, un dato estremamente preoccupante: il 47% degli aventi diritto non ha votato, segno che la sfiducia verso la classe politica locale è molto più diffusa di quanto si immaginasse. Il compito che aspetta Gianni Chiodi è estremamente gravoso, dunque, non soltanto per la difficilissima situazione debitoria in cui versa la regione, ma soprattutto perché l’altissima percentuale di elettori che hanno disertato le urne attesta che in Abruzzo ora occorre ricucire pazientemente il tessuto sociale. Non si tratta solo di governare bene, che è già di per sé molto difficile, ma di restituire dignità alla politica. La speranza è che Chiodi ne sia consapevole.
Mauro Ammirati
lunedì 24 novembre 2008
Ma ora si decida
Mauro Ammirati
giovedì 6 novembre 2008
Oltre il sogno
Mauro Ammirati
lunedì 20 ottobre 2008
Nati per sorprendere
Mauro Ammirati
giovedì 16 ottobre 2008
Un modello da rivalutare
Mauro Ammirati
martedì 7 ottobre 2008
Ottima osservazione, però...
Mauro Ammirati
sabato 4 ottobre 2008
La fine d'un sogno
Mauro Ammirati
venerdì 19 settembre 2008
Il punto è che sono giovani
Mauro Ammirati
venerdì 12 settembre 2008
Presidenzialismo e laicità
Mauro Ammirati
martedì 5 agosto 2008
No, non è una fiction
Mauro Ammirati
martedì 8 luglio 2008
Il problema è: come?
Mauro Ammirati
lunedì 30 giugno 2008
Onore alla Spagna, però...
Un altro aspetto della situazione da prendere in considerazione ci riguarda da molto vicino. La Spagna ha vinto con tutti gli avversari che ha incontrato, tranne uno: l’Italia. Non solo. Se in semifinale le “furie rosse” hanno umiliato la Russia ed in finale hanno steso al tappeto la Germania molto prima del novantesimo, con i nostri non sono riusciti a segnare un solo gol in centoventi minuti. Aggiungiamo che le più grandi parate Casillas le ha fatte contro gli azzurri e che nello stesso incontro l’attacco spagnolo di certo non ha fatto soffrire particolarmente la nostra difesa. Qualcuno – e dubito che abbia torto - ora sostiene che la vera finale sia stata Spagna-Italia. E l’accoglienza riservata a Pirlo e compagni al loro rientro in Italia induce a ritenere che siano in molto ad essere del medesimo parere. Eppure, il signor Roberto Donadoni è stato messo cortesemente alla porta, manco gli azzurri fossero stati eliminati con una prestazione da far arrossire. Non è stata data una seconda possibilità al Ct dell’unica nazionale con cui i Campioni d’Europa abbiano davvero rischiato di perdere. Nulla da eccepire sulle qualità e le capacità di Marcello Lippi, al quale si deve solo gratitudine. Con lui ci auguriamo di tornare a vincere. Ma resta l’amarezza, per due ragioni. La prima è il trattamento riservato a Roberto Donadoni, un giovane tecnico su cui forse valeva la pena investire, lasciandogli portare a termine il suo lavoro. La seconda è che la scelta della Federazione è emblematica, riflette un’attitudine assai diffusa nel nostro Paese: nel calcio, come in tutti i settori (economia compresa), l’Italia è un Paese che non perdona nulla e concede poche opportunità ai giovani, preferendo aggrapparsi agli uomini del passato. Avere meno di sessant’anni nell’Italia di oggi è quasi una disgrazia.
Mauro Ammirati
venerdì 27 giugno 2008
Le macerie del dialogo
Mauro Ammirati
giovedì 26 giugno 2008
A Villa Medici Cinema d'Autore
Da qualche settimana a Roma si è conclusa la rassegna “Le Vie del Cinema Da Cannes a Roma”. Tra i vari eventi sicuramente il più interessante è stato il dibattito “Presente e Futuro del Cinema Italiano d’Autore” che ha visto la partecipazione degli addetti ai lavori in campo cinematografico ed i protagonisti della kermesse francese quali: Paolo Sorrentino, Riccardo Munzi e Marco Tullio Giordana, rispettivamente registi de “Il Divo”, “Il resto della notte”, “Sangue pazzo” e Domenico Procacci, il lungimirante produttore di “Gomorra”.
Questi personaggi non hanno solo parlato dei successi che i film italiani, in particolare “Gomorra” ed “Il Divo” hanno avuto a Cannes, vincendo il premio della giuria, ma si sono anche confrontati riguardo la rinascita d’un nuovo linguaggio cinematografico, che resta legato alla tradizione del cinema realista italiano ma, nello stesso tempo, trova un modo nuovo, un punto di vista originale e moderno di raccontare l’Italia, tutti e quattro i film, infatti, affrontano tematiche legate alle questioni socio-politiche italiane con i suoi protagonisti passati e presenti.
Durante l’incontro si è discusso di quanto importanti siano i finanziamenti, sia quelli statali, che si spera possano dare più sostegno in seguito al ripristino della taxcredit, sia quelli privati, legati alla figura del produttore societario e indipendente, figura essenziale senza la quale non potrebbero esistere molti dei film che oggi vediamo. Finanziamenti necessari per produrre delle belle opere che ci facciano conoscere oltralpe, che mettano a tacere tutti coloro che dicono che il cinema italiano è morto o che, trasportati dai facili entusiasmi, si esaltano per i premi di Cannes ma poi rinnegano l’elogio, se ad altri festival i film italiani fanno solo capolino. Sostentamenti e finanziamenti che però a nulla servono se non si crea la giusta sinergia tra autori e produttori e se non ci sono leggi che incentivino o tutelino chi fa parte di questo mondo, affinché non soccomba sotto le leggi del mercato o dei sistemi oligopolistici.
Quello che questi esperti autori e produttori, a mio parere hanno voluto dire, è che il cinema italiano va sostenuto sempre e comunque a di là delle vittorie e delle sconfitte, perché è solo con la costanza, l’impegno ed il rischio di cimentarsi anche in film meno commerciali, che si riesce a costruire una salda tradizione cinematografica. Il cinema italiano non è solo commedia, Garrone e Sorrentino lo hanno dimostrato, mettendo in scena una Napoli che, se dalle cronache ci appare brutta, sporca e cattiva, in realtà, continua a partorire talenti e fare da sfondo a capolavori; dico questo perché Sorrentino è di origini napoletane così come Toni Servillo, attore di entrambi i film vincitori a Cannes e perché Gomorra è interamente ambientato a Casal di Principe, uno degli habitat della camorra. Questi film, a quanto pare, non sono piaciuti sola alla critica francese ma anche al pubblico italiano visto che fino ad oggi hanno incassato nelle sale più di 8 milioni di euro. Non siamo mica gli americani, come recita il titolo di una vecchia canzone di Vasco, ma dobbiamo far bene quello che sappiamo fare da italiani e se ci manca un cinema spettacolare fatto di esplosioni e mega effetti speciali questo non significa che non sappiamo fare cinema. Di quello critico-espressivo non possiamo non sentici padroni. Il nostro cinema è quindi ancora vivo, tanto da trasformare in fascinazione e farci appassionare anche le brutture del nostro Paese... e ditemi se questa non è arte o magia!
L’auspicio, alla fine di questo incontro, è che il cinema italiano abbia un grande futuro, che vi sia una presa di coscienza, sopratutto da parte dello Stato e dei politici, di quanto importante sia la cultura cinematografica, di quanto importante sia un educazione alla visone che non è fatta solo di Grandi Fratelli, ipnotizzatori di menti.
Marta Ronzone
mercoledì 18 giugno 2008
Ma ora basta con questa rivalità
Dunque, l’abbiamo sfangata, l’Italia riesce ad accedere ai quarti di finale del Campionato europeo, sconfiggendo per 2-0 nei novanta minuti regolamentari i cugini d’Oltralpe – non accadeva dal 1978, Mundial argentino, ero un bambino ma già avvezzo a patire per la nostra Nazionale di calcio (in Italia l’amore per il colore azzurro lo succhi con il latte materno). Grazie anche alla lealtà ed alla professionalità della rappresentativa olandese (gli Oranges potevano disinteressarsi alla partita con la Romania e, come suol dirsi, “tirare il piede indietro” nei contrasti, lasciando vincere l’avversario, ma hanno fatto esemplarmente il loro dovere), ora ci apprestiamo ad affrontare la fortissima Spagna, dopo aver ritrovato entusiasmo ed orgoglio. Tutto bene, siamo felicissimi. Anzi, no. Una cosa ci sarebbe da dire, nella consapevolezza che a molti miei connazionali non farà affatto piacere (forse qualcuno mi manderà anche a quel paese). Perché, ecco, abbiamo ottenuto un risultato importante e, per come eravamo messi, quasi miracoloso, ma ora… Ora sarebbe bene farla finita, una volta per tutte, con questa rivalità con i francesi. Nei giorni immediatamente precedenti l’inizio degli Europei ho sentito troppi parenti, amici e conoscenti dire: «Sono disposto a scambiare la qualificazione con una vittoria con la Francia.» No, cari compatrioti, così non va bene. Questa rivalità non fa onore a noi né a loro. Come disse, tempo fa, l’allora Presidente francese Chirac: «Italia e Francia sono sorelle latine.» Può capitare tra parenti stretti che vi siano incomprensioni, momenti difficili, litigi… ma l’antagonismo aspro, l’avversione e l’antipatia sono un’altra cosa. Personalmente non riesco a provare acredine per la “sorella latina”, perché essere latini è bello ed a Parigi come a Roma un latino – fosse pure sudamericano - si sente a casa sua. D’accordo, sui vini, la moda e la cucina ci pestiamo i piedi, ma può succedere solo – appunto – a noi latini, cioè a gente che ha i gusti raffinati, ama le frivolezze che allietano la vita e la buona tavola. Dicono che, in realtà, a mettere zizzania nella nostra parentela sia stato il ct francese Domenech. Ma via, siamo seri. Se basta qualche frase pronunciata da un allenatore per suscitare antipatia per un intero popolo, cosa dovremmo fare con la Germania, nella quale viene mandato in onda, in queste settimane, uno spot televisivo pubblicitario in cui l’italiano viene rappresentato come truffatore, inaffidabile e, sotto sotto, anche mafioso? Dovremmo forse consegnare al governo di Berlino la dichiarazione di guerra? Quanto alla grandeur, di cui i transalpini sono imbevuti e che irrita un po’ noi italiani, direi che, tutto sommato, è un peccatuccio veniale, nessuno è perfetto. Per i francesi, in fondo, è un modo come un altro di dimostrare che hanno rispetto di se stessi e, soprattutto, della loro storia. Una caratteristica che, però, non impedisce loro di rispettare le patrie altrui. Pochi mesi dopo che li avevamo sconfitti in finale all’ultimo mondiale, con tutte le polemiche che erano seguite alla testata di Zidane a Materazzi, i francesi ci accolsero a Parigi con molta civiltà. Noi ricambiammo nell’incontro successivo, a Milano, fischiando la Marsigliese. Vorrei soltanto che fatti così esecrabili non avessero più a succedere. Perché è bello sapere di appartenere al popolo di Dante, Petrarca e Manzoni. Ma è giusto anche inorgoglirsi di essere latini.
Mauro Ammirati
venerdì 13 giugno 2008
Il dibattito nel Pd
Il congresso straordinario non avrebbe alcun senso se il fine perseguito non fosse quello di rimettere in discussione la leadership, cioè la linea da questa adottata. Non sono pochi nel Pd a ritenere che sia stato un grave errore la decisione di «correre da soli», ossia di rinunciare all’alleanza con l’estrema sinistra. E rilevante è anche il numero di coloro che rimproverano a Veltroni di aver scelto la strada del dialogo con Berlusconi, in luogo di un’opposizione dura ed intransigente, la strategia scelta da Di Pietro, il quale potrebbe trarre enormi benefici in termini elettorali dalla nuova fase di rapporti tra Pd e centrodestra. Qui occorre soffermarsi, perché talune accuse verso l’ex Sindaco di Roma, sono probabilmente ingenerose. Una volta ottenuta l’investitura a segretario del neonato partito, Veltroni non poté fare altro che constatare il fallimento del disegno politico di Prodi e dei suoi seguaci. «Sbagliare è umano, perseverare è diabolico», dice un vecchio adagio. Perseverare nell’alleanza con la sinistra antagonista, dopo due esperienze di governo conclusesi come sappiamo, sarebbe stato semplicemente «diabolico». Forse, se il 14 aprile ai voti della sinistra verde e neocomunista si fossero aggiunti quelli del Pd, oggi Berlusconi non sarebbe Capo di governo, ma probabilmente l’esecutivo starebbe discutendo su come trovare un accordo su termovalorizzatori, centrali nucleari, legge Biagi… ed altre questioni sulle quali il governo Prodi s’impantanò senza riuscire in alcun modo a venirne fuori.
La scelta del gruppo cui aderire nel Parlamento di Strasburgo è questione terribilmente seria. Veltroni l’ha resa ancora più complicata accettando candidature di alcuni radicali nelle liste del suo partito. In Europa il bipolarismo è tra socialisti e popolari (o se preferite conservatori), non esiste nelle grandi democrazie occidentali, fatta eccezione per gli Stati Uniti, una grande forza politica di massa come il Pd, che non è socialista ma le cui radici non sono neppure nel popolarismo. Problema spinoso, ma anche qui puntare l’indice sulla leadership serve a poco. Nel caso qualcuno l’abbia dimenticato, milioni di militanti e simpatizzanti, mesi fa, parteciparono alle elezioni primarie per scegliere il gruppo dirigente, stilando l’atto di nascita di questo nuovo soggetto politico. Se un progetto così ambizioso rischia di essere accantonato dopo la prima sconfitta o perché non si quali compagni di strada scegliere in Europa, allora significa che i suoi stessi fondatori nel Pd non hanno mai creduto.
Mauro Ammirati
giovedì 5 giugno 2008
Un po' meno yankee
Mauro Ammirati
mercoledì 4 giugno 2008
Un tema "insolito"
giovedì 29 maggio 2008
Un uomo del suo tempo
Mauro Ammirati
martedì 27 maggio 2008
Ci si aspetta di meglio
lunedì 26 maggio 2008
Il prezzo dell'ingovernabilità
Mauro Ammirati
venerdì 23 maggio 2008
"The Walking Mountain", il film su Primo Carnera
Enzo Martinelli è molto bravo a ripercorre le tappe del grande pugile italiano, tanto popolare nel periodo fascista ed a illustrarne la storia anche a chi non lo conosceva, perché troppo giovane. Ammirevole il modo in cui il regista ne ha rappresentato anche la semplicità, che spesso non si crede debba appartenere ad un mito. Bellissima dal punto di vista tecnico la ricostruzione in digitale del Madison Squadre Garden e delle enormi platee che seguivano gli incontri di boxe. Stilisticamente invece troppo artificioso il passaggio dal bianco e nero della pellicola invecchiata alla color correction moderna e qualche perplessità sorge riguardo l’interpretazione dei personaggi, si fa fatica ad affezionarsi e ad esserne coinvolti, colpa forse del doppiaggio. In definitiva, il film tecnicamente e narrativamente non fa una piega, eppure se qualche episodio didascalico fosse stato omesso per approfondire la caratterizzazione dei personaggi, nonché la sensibilità di questa montagna d’uomo che soccorre i suoi avversari, che diventa simbolo di riscatto e di gloria per un' intera nazione e che è fiero di incassare pugni per dare un futuro ai propri figli, forse ci sarebbe stato un filo di commozione in più nel vederlo e non solo nel raccontarlo. E, magri, non sarebbe sembrato a chi è appena uscito dalla sala, di aver seguito la cronistoria di un mito dall’odore di fiction.
Marta Ronzone
martedì 20 maggio 2008
Ma è il mio Paese
lunedì 19 maggio 2008
Una risorsa, un potenziale problema
Mauro Ammirati
sabato 17 maggio 2008
Gli ostacoli sulla strada del dialogo
Mauro Ammirati